CONTRIBUTORI

Stephen Dover
Head of Equities, Franklin Templeton

Andrew Ness, CFA
Portfolio Manager, Franklin Templeton Emerging Markets Equity
Le elezioni americane hanno implicazioni per i mercati emergenti, in particolare nell’area dei rapporti commerciali globali ma, secondo il Portfolio Manager Andrew Ness, per gli investitori è importante guardare ai singoli paesi e alle singole società dell’asset class. Si unisce al nostro Head of Equities Stephen Dover per spiegare come i mercati emergenti stanno affrontando le sfide odierne - compresa la pandemia del COVID-19 - e far notare che ospitano alcune delle aziende più innovative e resilienti al mondo.
ECCO QUALCHE PUNTO SALIENTE DELLA CONVERSAZIONE ODIERNA:
- “Se la prevista combinazione di una presidenza Biden e di un Senato repubblicano vedrà la luce, penso che potremo certamente aspettarci una diminuzione delle incertezze commerciali e una politica estera meno irrequieta… Biden stesso è visto come un globalista dell’establishment, il che significa che la sua elezione profilerebbe una potenziale nuova adesione degli Stati Uniti all’accordo di Parigi, al partenariato transpacifico e forse anche all’accordo di Obama con l’Iran. Sarebbe quindi un possibile punto a favore delle multinazionali e delle organizzazioni governative”. - Andrew Ness
- ”Con il COVID abbiamo assistito ad una chiara reazione delle multinazionali globali, che stanno ripensando l’organizzazione delle loro catene di fornitura. Penso che alcuni di questi paesi ASEAN ne beneficeranno in qualche misura; tuttavia… la Cina può contare su enormi dimensioni operative, territori estesi e infrastrutture consolidate. Pertanto, ritengo che la rilocazione riguarderà una quota marginale e non significativa della produzione e che questi paesi siano ben posizionati per beneficiare della continua delocalizzazione dalla Cina continentale”. - Andrew Ness
- “Penso che le opportunità offerte dalla Corea (del Sud), date le valutazioni che osserviamo nel paese, siano per noi molto promettenti. Lo sono soprattutto alcuni dei marchi tecnologici più importanti. Penso che nei mercati emergenti l’e-commerce continui a offrire spunti interessanti, in tutta una serie di paesi - Taiwan, Cina, Russia, Corea e America Latina.” – Andrew Ness
- “A mio avviso, le persone sottovalutano le capacità di recupero che la Russia sa dimostrare… e i due paesi hanno molti più interessi in comune di quanto non si creda.” – Andrew Ness
- “Penso che il Brasile sia un mercato che ha attraversato un periodo di grandi difficoltà per la popolazione e per il paese. Spero davvero che avranno la resilienza e la stabilità necessaria per superare tutto questo. Se ci riusciranno, vedo enormi opportunità, dato il profilo demografico del paese e l’abbondanza di risorse naturali e di beni agricoli. Si spera che molte cose cambieranno per il Brasile nei prossimi anni” – Andrew Ness
TRASCRIZIONE:
Stephen Dover: Benvenuto, Andrew.
Andrew Ness: Grazie, Stephen.
Stephen Dover: Andrew, principalmente come ha influito questa elezione negli Stati Uniti, o come pensi che influenzerà, i mercati emergenti?
Andrew Ness: Come team non dedichiamo molto tempo a prevedere i risultati politici. La maggior parte del rischio attivo si concentra a livello della singola società. Raramente considero questi fattori top-down come la politica come una fonte di rischio. Detto questo, dobbiamo saper riconoscere quali sono questi rischi. Quindi l’argomento ci riguarda da vicino. Siamo rimasti affascinati dalle elezioni negli Stati Uniti. Penso che esistano tre ragioni principali per dirsi ottimisti sui mercati emergenti se la prevista combinazione - ancora da confermare - tra una presidenza Biden e un Senato repubblicano vedrà la luce. Prima di tutto, potremmo attenerci una posizione politica più morbida nei confronti della Cina. Penso che potremo certamente aspettarci una diminuzione delle incertezze commerciali e una politica estera meno irrequieta. A mio avviso saranno queste le principali aspettative da ritenere positive per i mercati globali e, in particolare, per quelli emergenti. Penso che lo stesso Biden stesso sia considerato un convinto globalista dell’establishment, il che significa che la sua elezione profilerebbe una potenziale nuova adesione degli Stati Uniti all’accordo di Parigi, al partenariato transpacifico e forse anche all’accordo di Obama con l’Iran. Sarebbe quindi un possibile punto a favore delle multinazionali e delle organizzazioni governative come la NATO [Organizzazione del Trattato Nord Atlantico], l’UE [Unione Europea], l’OMS [Organizzazione Mondiale della Sanità] e l’OMC [Organizzazione Mondiale del Commercio].
Stephen Dover: Quindi, ogni volta che gli Stati Uniti aderiscono aqueste organizzazioni transnazionali, i mercati emergenti ne ottengono effetti generalmente positivi. Facciamo il punto su ciò che pensi dei mercati emergenti. So che le persone ti chiedono sulla scelta fra crescita e valore e stavamo appunto parlando di come vedi la questione in termini di rotazione dalla resilienza alla vulnerabilità. Puoi spiegare qual è la filosofia di base che adotti per affrontare i mercati emergenti?
Andrew Ness: Bene. Penso che la contrapposizione fra crescita e valore derivi dal disperato tentativo del nostro ambiente di rinnovarsi continuamente, ma dal nostro punto di vista la rotta sta cambiando. E penso che dobbiamo forse ragionare più in termini di paesi e aziende vulnerabili e di paesi e aziende resilienti. E penso si debba contrapporre il breve al lungo periodo. Guardando al brevissimo termine, credo che nessuno di noi si stupirebbe della sovraperformance del valore tradizionale. La rotazione di stile molto netta della scorsa settimana ci ha offerto numerosi riscontri al riguardo. Ho appena letto un commento molto interessante sul FT [Financial Times] che mi ha fatto ridere. Anziché pensare a questo evento come a un “cigno nero”, che chiaramente non è, immaginiamolo come un rinoceronte grigio. Il rinoceronte grigio simboleggia un evento di larga portata e ben manifesto. Viene facilmente ignorato fino a quando non parte la carica. Quindi, penso sia possibile immaginare uno scenario nel quale questi nomi poco amati e sotto-rappresentati in portafoglio daranno delle soddisfazione nel breve e medio termine. Nel più lungo periodo, tuttavia, e certamente dal nostro punto di vista che punta ai mercati emergenti, la rivoluzione digitale continuerà a dilagare in tutta una serie di settori. Penso che questo esporrà a una persistente minaccia di rotture e che molti modelli di business e le aziende dei segmenti più tradizionali del mercato, l’energia, la finanza o la distribuzione al dettaglio, dovranno affrontare un futuro incerto. Per questo parliamo di resilienza in contrapposizione alla vulnerabilità. E ci concentriamo sulle aziende in genere più resilienti di fronte alle turbolenze economiche e alla trasformazione digitale alla quale stiamo assistendo proprio ora.
Stephen Dover: Beh, penso che molte persone non si rendano forse conto di quanto drasticamente siano cambiati i mercati emergenti. E nella stessa misura sono cambiati i benchmark negli ultimi cinque o 10 anni. Energia e materiali ed esportazioni non sono più predominanti come un tempo. Ora la tecnologia ha assunto un peso notevole. Ed è cambiato anche il modo di guardare agli investimenti nei mercati emergenti.
Andrew Ness: Bene. Ho esordito professionalmente alla fine del ‘94. Storici e osservatori del mercato ricorderanno che è stato un periodo di grande volatilità per l’asset class, diventata fortemente standardizzata e ciclica. Un elevato numero di paesi era dominato dalle materie prime, che all’epoca solitamente guidavano gli indici. Poi, negli ultimi due decenni e mezzo, come hai chiaramente sottolineato, abbiamo assistito a una notevole trasformazione. Ora i nostri paesi sono esposti ad alcune tecnologie e innovazioni all’avanguardia che stanno profondamente rimodellando il panorama industriale in una serie di mercati emergenti. E pensiamo che esista ancora una percezione errata su quello che l’universo dei mercati emergenti è in grado di offrire dopo tale trasformazione.
Stephen Dover: Quindi il rinoceronte bianco nelle stanza, se vogliamo, sono in questo caso il COVID e la pandemia. E ovviamente sono arrivate notizie abbastanza positive su possibili vaccini. Per i mercati emergenti, naturalmente, la questione è: quanto velocemente si renderanno disponibili i vaccini? Una delle cose che il presidente Biden potrebbe fare e che avrebbe un certo impatto sulle modalità di distribuzione dei vaccini, è aderire nuovamente all’Organizzazione mondiale della sanità. Quindi, a grandi linee, puoi dirci in che modo la pandemia ha colpito i mercati emergenti e come procederanno a tuo avviso le vaccinazioni?
Andrew Ness: Sì, certo. Tornando a quanto detto sui miei esordi professionali, la crisi che ci eravamo trovati ad affrontare derivava in maggior parte da problemi della bilancia dei pagamenti dei mercati emergenti con valute sopravvalutate, troppo debito estero e un’implosione dei conti esteri. Credo quella crisi avesse caratteristiche molto diverse. Era globale, riguardava indistintamente tutti i paesi. E alcuni di quei paesi avevano dimostrato di saper affrontare il problema. Penso che l’Asia del Nord abbia dimostrato in modo molto convincente la forza delle sue istituzioni e aziende, e anche i suoi cittadini sono parsi in grado di gestire la crisi abbastanza efficacemente. In altri paesi rappresentati nell’asset class, con una minore flessibilità di bilancio e una gestione sanitaria molto peggiore, l’impatto è stato chiaramente ben più pesante.
Guardando al futuro, abbiamo adottato aspettative di ragionevole prudenza e stimato la ripresa non prima del quarto trimestre del prossimo anno. La maggior parte delle economie inizierà quindi a ritrovare una certa normalità dell’attività economica nel T4 del 2021. Ora, alla luce delle notizie giunte dagli sviluppatori del vaccino nelle ultime due settimane, confidiamo che quelle stime fossero troppo prudenziali. Ma a mio parere personale le nostre economie ritroveranno una vivacità e un vigore ben maggiori già molto prima dell’anno prossimo, per effetto di due elementi: uno, credo che la distribuzione dei vaccini inizierà prima; due, confido nella possibilità che l’emergenza sanitaria sarà riclassificata da pandemia a qualcosa di più simile a una malattia respiratoria endemica. Mi trovo nel Regno Unito, dove viviamo un secondo lockdown parziale, ma in realtà i nostri sistemi sanitari se la stanno cavando abbastanza bene. E la risalita dei contagi non sembra significativa come forse temevamo sei-otto settimane fa. Mi piace pensare che accadrà lo stesso a tutta la nostra asset class dei mercati emergenti, dove non sembra prefigurarsi un altro ciclo di chiusure. Quindi, le conseguenze economiche di un aumento dei contagi potrebbero non essere dure come durante il primo e importante periodo di lockdown.
Stephen Dover: Nella mia esperienza, avendo vissuto così tante crisi diverse - se vogliamo - i paesi e le società dei mercati emergenti sono molto ben equipaggiati per farvi fronte. E sul punto che hai sollevato, reputo importante poter sperare in una ripresa anticipata rispetto alle previsioni di tanti per molti di questi mercati emergenti. E allora facciamo una carrellata mondiale per descrivere i tanti e molto diversificati mercati emergenti. Naturalmente, sentiamo anzitutto le tue prospettive sulla Cina e in particolare sulle società e sui settori cinesi.
Andrew Ness: Sulla Cina, credo che non possiamo ignorare le conseguenze politiche dell’elezione di Biden, sempreché sarà confermata, perché è il paese più importante in termini politici e potrebbe beneficiare di una revisione profonda della politica americana. Sono certo che anche la reazione dei mercati sarebbe pienamente positiva. Forse, poi, ci aspetteremmo un impegno più attivo dalle due controparti rispetto a quanto visto sinora. Il prossimo anno potrebbe segnare un riavvicinamento e il potenziale raggiungimento di nuovi accordi commerciali, entro la fine del 2021 o ad inizio 2022, che segnerebbero un risultato ben migliore di quello da noi atteso forse sei mesi fa. Gli asset nei mercati cinesi corrono tuttavia un grande rischio e ne abbiamo avuto prova nelle ultime settimane. Sfortunatamente, prima che entri in carica la nuova squadra di governo, credo che l’attuale amministrazione statunitense potrebbe cercare di attuare ulteriori misure anti-cinesi e che alcune di queste potrebbero risultare politicamente difficili da superare. Di qui, ipotizzo sui mercati una possibile volatilità di breve periodo e la conseguente volatilità dei cambi. Sfortunatamente, quindi, i prossimi due mesi potrebbero quindi rivelarsi impegnativi per chi segue la Cina.
Stephen Dover: Solo due o tre settimane fa la Cina ha presentato il suo 14° piano quinquennale, cioè il suo programma di interventi economici. Va evidenziato il reale impegno a diventare un paese autosufficiente. Sta davvero tentando di ridurre la dipendenza dall’export, aumentare i consumi e disporre di tecnologie proprie. Che riflessi ritieni avrà sul mercato e in che direzione si muoverà probabilmente la Cina nei prossimi cinque anni circa?
Andrew Ness: È un elemento chiave della discussione. Penso che tutta la questione della de-globalizzazione e re-internalizzazione delle catene di approvvigionamento sia stata chiaramente alimentata dagli sviluppi politici ai quali abbiamo assistito negli ultimi 12 mesi. Prima o poi la Cina avrebbe dovuto passare da un modello economico legato alle spese in conto capitale a uno più orientato ai consumi interni, e ci troviamo proprio nel mezzo di questa transizione. Prevediamo che il prossimo piano quinquennale offrirà maggiori dettagli sulle modalità utilizzate dal governo per attuare questa migrazione.
Riteniamo che l’opportunità legata ai consumi cinesi rimanga una delle più interessanti e stimolanti oggi esistenti per gli investitori. Per me ci sono due aspetti in ballo. Primo, la sottopenetrazione storica di uno straordinario ventaglio di beni e servizi che negli altri grandi mercati hanno tradizionalmente una penetrazione molto importante. Secondo, però, sappiamo che in larga misura i consumi cinesi sono già aumentati. Esiste già una classe media che consuma moltissimo. E questi consumatori non sono diversi da noi - Stephen. Negli ultimi anni hanno raggiunto maggiori livelli di ricchezza e di reddito, amano acquistare merci migliori, esperienze migliori, prodotti migliori e servizi migliori. Esiste quindi un’opportunità legata al fenomeno della premiumization dei consumi in Cina.
Stephen Dover: Nel piano quinquennale precedente, parte del piano era la cosiddetta Nuova via della seta o “Belt and Road” attraverso la quale la Cina si sforzava di far crescere molti altri mercati emergenti, attraverso rotte marittime o strade e azioni di sviluppo. Qual è secondo te il futuro delle relazioni della Cina con gli altri mercati emergenti e quanto pensi che tali mercati emergenti dipenderanno dalla Cina in futuro anziché dall’Occidente?
Andrew Ness: Anche questa è una questione chiave. Penso che la Belt and Road vada inserita nel contesto dell’evoluzione della politica estera cinese. Abbiamo sempre guardato alla guerra commerciale e alla rivalità strategica fra la Cina e gli Stati Uniti come ad un conflitto per l’egemonia politica fra le due superpotenze. Ed è quello che sta avvenendo: nei mari della Cina meridionale dove sappiamo delle tensioni crescenti in atto come pure in Medio Oriente o in Asia centrale, a causa dell’iniziativa “One Belt One Road”. Credo che da Deng Xiaping fino a Xi [Jinping], la politica estera cinese sia sempre stata fortemente orientata a mantenere un basso profilo sullo scacchiere internazionale. Poi, con la salita al potere di Xi, penso che la Cina sia passata a una logica diversa, di grande spinta nel voler dimostrare al mondo quanti risultati abbiano saputo raggiungere. E ne abbiamo avuto la prova con il nuovo piano “Vision 2025”, l’iniziativa “Made in China”. In ultima analisi, penso che sia la risposta a una nuova politica statunitense che cerca di trovare un modo per frenare l’affermazione della Cina. Quindi abbiamo assistito all’evoluzione di questa disputa commerciale verso qualcosa di forse più strategico. Penso che molti paesi in tutto il mondo dovranno considerare, se il mondo si spaccherà in questo sistema bipolare, da che parte schierarsi. Non sarà una scelta facile, specialmente per quei paesi abituati a sforzarsi di siedere al centro, come forse il Regno Unito.
Stephen Dover: Beh, interessante. La Cina potrebbe certamente occupare tutto il tempo del nostro incontro, ma una delle caratteristiche dei mercati emergenti è la loro grande diversificazione e l’elevato numero di paesi che li compongono. Uno di questi, di cui si parla poco, è la Corea [del Sud]. Quindi, dicci magari brevemente quali sono le tue previsioni sulla Corea.
Andrew Ness: Ne ho già accennato nei miei commenti parlando dell’Asia del Nord, quindi Cina, Taiwan e Corea [del Sud], quando ho detto che tutti questi paesi hanno in genere gestito la pandemia abbastanza efficacemente, testimoniando a mio avviso della qualità e della solidità delle loro istituzioni, della governance e delle strutture sanitarie. Ma è importante anche il fatto che hai sottolineato prima, che questi paesi hanno attraversato crisi analoghe in passato, apprendendone una lezione. Siamo convinti che la Corea offra enormi opportunità agli investitori e che lì si trovino alcune società estremamente promettenti, che si aggiungono a quella che per noi è l’opportunità principale offerta da questo paese. Anche in questo caso, le persone tendono a non parlare molto di questi aspetti.
Se guardiamo ai suoi bilanci pubblici, per esempio, la Corea è uno dei paesi meno indebitati al mondo. Credo che il suo rapporto fra debito pubblico e PIL (Prodotto Interno Lordo) sia inferiore al 45%. Qui nel Regno Unito, quest’anno dovremmo raggiungere il 100% con gli stimoli fiscali. Il paese è in primissima linea sul fronte dell’industria tecnologica. Quindi, per le società che beneficiano dei lockdown e dei trend dirompenti, penso che la Corea occupi una posizione di favore. Il paese è un importatore netto di petrolio, le cui quotazioni sono sprofondate insieme al crollo dell’attività economica, con evidenti benefici per la maggior parte dei paesi emergenti come la Corea che sono importatori netti. E molti mercati emergenti, purtroppo, stanno risentendo del crollo del turismo e dei viaggi internazionali. Non credo ci saranno molte famiglie a programmare una vacanza a Seul, malgrado sia una delle mie destinazioni preferite. Anche a questo riguardo, tali fattori contribuiscono a migliorare il quadro complessivo.
Un ultimo punto che - ancora una volta - sorprende molti: per molto tempo la corporate governance nei mercati emergenti è stata vista come avversa agli investitori, per alcuni elementi critici e prassi inappropriate. Oggi invece sta diventando sempre più in un elemento favorevole in paesi come la Corea, che sono in realtà all’avanguardia su questo fronte e dove, attraverso la mano pubblica ma anche l’impegno degli investitori, osserviamo un netto miglioramento della corporate governance e dell’allineamento fra le società quotate e gli investitori, come mai avevo visto nella mia carriera professionale.
Stephen Dover: Un tema di cui abbiamo sentito parlare molto è quello degli interventi sulla catena di approvvigionamento, poiché i paesi occidentali cercano di diversificare fuori dalla Cina. In parte potrebbe essere re-internalizzata negli Stati uniti o altri paesi occidentali, ma forse anche spostata nell’Asia del Sud-Est. Come valuti dunque l’Asia del Sud-Est, con particolare riguardo alla catena di approvvigionamento, e quali opportunità ci vedi?
Andrew Ness: Sì, credo che questo processo andasse avanti già da un po’ prima che arrivasse il COVID. Credo che la maggior parte delle multinazionali con stabilimenti in Cina puntasse a diversificare la produzione aggiungendo impianti in uno o due paesi, a chiaro beneficio di paesi come la Tailandia o il Vietnam in grado di assorbire parte di tale ricollocazione manifatturiera. Con il COVID abbiamo assistito a un’evidente reazione delle multinazionali che stanno ripensando le loro catene di approvvigionamento. Ritengo che questo favorirà, in qualche misura, alcuni paesi dell’ASEAN [Associazione delle Nazioni del Sud-est Asiatico]; tuttavia, non dobbiamo dimenticare che qui esiste un problema di dimensioni. In ultima analisi, la capacità del Vietnam di assorbire l’attività manifatturiera supplementare della Cina sarà limitata. La Cina ha il vantaggio di enormi dimensioni operative, territori estesi e infrastrutture consolidate. Quindi, ritengo che la rilocazione riguarderà una quota marginale e non significativa della produzione e che questi paesi siano ben posizionati per beneficiare della continua delocalizzazione dalla Cina continentale.
Stephen Dover: Naturalmente, se cerchiamo un paese delle dovute dimensioni e con una popolazione elevata, dobbiamo pensare all’India. Come vedi l’India in questo momento?
Andrew Ness: L’India è un mercato affascinante per gli investitori, dalle tante opportunità. Ho citato l’opportunità legata ai consumi in Cina. Allo stesso modo, l’India ha una popolazione sottosviluppata in molte parti della sua economia dei consumi. Ci possiamo trovare opportunità, così come in Cina, in termini di prospettive di penetrazione ma anche per il fenomeno della premiumization visto che anche in India esiste una classe media di consumatori, ampia e in crescita, che ambisce a vivere meglio e comprare prodotti migliori. Quindi ritengo che non mancheranno mai opportunità per noi. Purtroppo l’economia attraversava una fase di minimo quando la pandemia ha colpito, aggravando di conseguenza la sofferenza economica già presente. L’India ha scelto di promuovere misure di contenimento piuttosto stringenti, tra le più severe attuate nei mercati emergenti, e che hanno portato a uno scenario economico molto difficile. Ad ogni modo, come in tutti gli altri paesi, il COVID finirà e inizierà la ripresa. E penso che ritroveremo intatte in India le opportunità di lungo periodo.
Stephen Dover: Facciamo un grande salto per andare a parlare del Brasile. Il presidente Bolsonaro, che era fra i più stretti alleati di Trump, non ritiene probabilmente di ricavare benefici dalla vittoria di Biden. Che cosa pensi del Brasile?
Andrew Ness: Credo che hai messo il dito nella piaga. Con l’elezione dei democratici e l’amministrazione Biden, alcuni direbbero che si profila la delegittimazione del populismo di destra e si mina l’ideologia di Bolsonaro. In linea teorica questo potrebbe iniziare a danneggiare i rapporti commerciali fra Washington e Brasilia. Bolsonaro appare sempre più isolato in America, dopo la svolta politica a sinistra alla quale abbiamo assistito negli ultimi anni sia nell’emisfero settentrionale che in quello meridionale del continente. Inoltre, un’amministrazione Biden potrebbe non essere per forza la migliore per il petrolio, il gas e le materie prime, con effetti potenzialmente negativi per il Brasile. Ma tornando sul tema della resilienza, il Brasile è un paese che ne ha vissute tante negli ultimi venti o trent’anni. È un mercato piuttosto volatile, ma dotato di una notevole resilienza, sia nella popolazione che come economia. E pensiamo ancora che il processo di riforma intrapreso dall’amministrazione stia tentando il tutto per tutto al fine di rendere sostenibile il bilancio. Nello scenario attuale i brasiliani beneficiano di un’inflazione ai minimi assoluti e di tassi d’interesse mai visti prima nella storia economica del paese. Il potenziale è enorme se riusciamo a stabilizzare le dinamiche fiscali e riusciamo a ripartire dopo il COVID nei prossimi 6-12 mesi. Poi, penso che il Brasile sarà una piazza davvero interessante sulla quale gli investitori possono puntare nei prossimi 12-18 mesi.
Stephen Dover: Passiamo al Messico, che sul piano politico si colloca sul fronte opposto. Naturalmente, quello che accade in America ha importanti riflessi in Messico.
Andrew Ness: Il Messico è rimasto abbastanza tranquillo. Tutti gli occhi sono stati puntati sul Brasile e su altre aree dell’America Latina. Per il paese credo sia stata una transizione politica difficile. AMLO [Andrés Manuel López Obrador] ha le idee molto chiare su come intende guidare il paese e il suo approccio economico risponde a principi tutt’altro che ortodossi, per usare un eufemismo. Ho accennato che la mia carriera è iniziata nel ‘94. A tre mesi dall’avvio, quindi, mi sono imbattuto nella crisi del peso messicano che ha comportato una pesante svalutazione della moneta e in una crisi economica e sociale davvero grave. Ancora oggi, guardando alla penetrazione del credito e ad altri segnali di sviluppo in Messico, il paese fatica a riprendersi appieno a distanza di 25 anni Quindi, penso che il Messico si trovi di fronte a sfide di breve periodo che l’amministrazione Trump non ha certamente aiutato a superare. Speriamo di tornare a stringere rapporti di vicinato migliori dei precedenti. Penso che alcune delle opportunità di lungo periodo si concretizzeranno in Messico. Quindi ritengo che gli investitori possano guardare di nuovo a questo paese.
Stephen Dover: Passiamo alla Russia, le cui politiche si intrecciano ovviamente in tanti modi con quelle degli Stati Uniti. Cosa pensi del mercato russo?
Andrew Ness: Il mercato russo ci piace e la nostra valutazione si basa anche in questo caso sulla qualità delle opportunità bottom-up che riusciamo a scorgervi. In un’ottica top-down, penso che sia un paese affascinante. Sono state riattivate le sanzioni, che ovviamente non creano una condizione ideale. Ma, per qualche strano meccanismo, le sanzioni hanno finito per rendere la Russia più investibile nel senso che il paese ha raggiunto un grado molto maggiore di autosufficienza e autonomia. Ha dovuto incrementare i livelli di efficienza interna, riducendo sensibilmente il debito estero. È uno dei paesi meno indebitati a livello mondiale; il rapporto tra debito pubblico e PIL è inferiore persino a quello della Corea [del Sud]. Le famiglie sono solitamente poco indebitate.
Quindi, la resilienza dell’economia russa è altissima, ma chiaramente non potrebbe essere altrimenti in quanto è altamente sensibile alle quotazioni petrolifere. Ma anche guardando alla componente petrolifera della sua economia, hanno accantonato i proventi straordinari dell’oro nero per affrontare i giorni peggiori e possono attingere a quelle riserve di ricchezza nazionale quando i prezzi di vendita scendono. Le stesse compagnie petrolifere adottano modelli di business altamente resilienti. Alcune riescono a fare utili anche quando il [barile di] petrolio quota a 15 dollari. Quindi la Russia ha una resilienza insita che ritengo le persone sottovalutino. Personalmente, sul piano politico tendo a credere che l’approccio degli americani verso la Russia sia in genere finalizzato a cercare di archiviare le difficoltà e gli imbarazzi degli ultimi anni. Penso che gli interessi in comune fra i due paesi siano molti più numerosi di quanto la gente non creda e non ritengo che l’America potrebbe gestire contemporaneamente due rivalità strategiche, con la Cina e con la Russia. A mio avviso Trump avrebbe gradito uno sviluppo di questo tipo ma, sfortunatamente, come tutti sappiamo, le interferenze russe hanno praticamente mandato tutto all’aria. Quale direzione prenderanno le relazioni politiche sotto l’amministrazione Biden è per me un tema di grande interesse che non bisogna perdere di vista. Non credo che avrà fretta di fare qualcosa nell’immediato. Nei prossimi sei o 12 mesi dovremmo capire quale direzione prenderanno le relazioni.
Stephen Dover: Grazie, Andrew. È difficile analizzare tutti questi mercati in così poco tempo. In poche parole, puoi dirci dove individui le due o tre maggiori opportunità al momento presenti nei mercati emergenti?
Andrew Ness: Penso che le opportunità in Corea [del Sud], date le valutazioni che osserviamo nel paese, siano davvero interessanti per noi. Lo sono soprattutto alcuni dei marchi tecnologici più importanti. Nei mercati emergenti, l’e-commerce mantiene il suo appeal in tutta una serie di paesi: Taiwan, la Cina, la Russia, la Corea e l’America Latina. Poi penso che il Brasile e la sua gente abbiano attraversato un periodo molto duro. Spero davvero che avranno la resilienza e la stabilità necessaria per superare tutto questo. Se ci riusciranno, vedo enormi opportunità, dato il profilo demografico del paese e l’abbondanza di risorse naturali e di beni agricoli. Si spera che molte cose cambieranno per il Brasile nei prossimi anni.
Stephen Dover: Ottimo. Bene, ti ringrazio Andrew. È stata una conversazione davvero interessante, che ho molto apprezzato.
Andrew Ness: Grazie.
Quali sono i rischi?
Tutti gli investimenti comportano rischi, inclusa la possibile perdita del capitale. I prezzi delle azioni subiscono rialzi e ribassi, talvolta estremamente rapidi e marcati, a causa di fattori che riguardano singole società, particolari industrie o settori o condizioni di mercato generali. Gli investimenti in industrie in rapida crescita, quali il settore tecnologico (storicamente volatile), possono determinare fluttuazioni dei prezzi più elevate, soprattutto nel breve termine, a causa della rapidità dei cambiamenti e dello sviluppo dei prodotti nonché dei regolamenti governativi delle società che privilegiano i progressi scientifici o tecnologici. È possibile che i titoli value non aumentino di prezzo come previsto o subiscano un ulteriore calo di valore. Gli investimenti esteri comportano rischi particolari quali fluttuazioni dei cambi, instabilità economica e sviluppi politici. Gli investimenti nei mercati emergenti implicano rischi più accentuati connessi con gli stessi fattori, oltre a quelli associati alle minori dimensioni dei mercati in questione, ai volumi inferiori di liquidità e alla mancanza di strutture legali, politiche, economiche e sociali consolidate a supporto dei mercati mobiliari. Storicamente, i titoli delle società minori hanno registrato un livello di volatilità più elevato rispetto a quelli di società più grandi, soprattutto a breve termine.
Nella misura in cui una strategia si concentra di volta in volta su particolari paesi, regioni, industrie, settori o tipi di investimento, può essere soggetta a un rischio più elevato di sviluppi negativi in tali aree di focalizzazione rispetto a una strategia che investe in una gamma più ampia di paesi, regioni, industrie, settori o investimenti. La Cina può essere soggetto a livelli notevoli di instabilità economica, politica e sociale. Gli investimenti in titoli di emittenti cinesi comportano rischi legali specifici della Cina, compresi alcuni rischi legali, normativi, politici ed economici.
Le società e/o i case study citati in questo numero sono utilizzati a scopo puramente illustrativo; al momento non sono necessariamente detenuti investimenti da alcun portafoglio cui Franklin Templeton fornisce consulenza. Le informazioni fornite non costituiscono una raccomandazione o una consulenza finanziaria individuale per un titolo, una strategia o un prodotto d’investimento particolare e non costituiscono un’indicazione delle intenzioni di negoziazione di alcun portafoglio gestito da Franklin Templeton.
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