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Punti salienti

  • Oltre la metà del PIL mondiale dipende dalla natura in misura elevata o moderata, eppure gli ecosistemi continuano a deteriorarsi a un ritmo insostenibile.
  • Il cambiamento climatico è al contempo una causa e una conseguenza della perdita di biodiversità, anche se quest’ultima pone una serie di sfide differenti, come quella di misurare i tassi di perdita o di miglioramento.
  • Per ridurre la perdita di biodiversità, le imprese possono prendere importanti misure che possono rivelarsi anche una fonte di ricavi, come migliorare l’efficienza e sostituire i prodotti ad alto impatto con altri a basso impatto.
     

Una conversazione tra Jeff Schulze, Ben Buckley e Anna Cala

Da quando investitori, asset owner e governi hanno cominciato ad affrontare le conseguenze del cambiamento climatico e a riconoscere che le aziende e le comunità dipendono da ecosistemi sani per produrre prodotti e servizi e sostenere la vita quotidiana, un’attenzione sempre maggiore viene rivolta alla biodiversità. Jeff Schulze, CFA, Investment Strategist di ClearBridge, ha recentemente incontrato Ben Buckley, CFA, Portfolio Analyst, e Anna Cala, Senior ESG Associate, per esaminare le implicazioni per gli investitori.

Jeff Schulze: Cos’è esattamente la biodiversità?

Anna Cala: Secondo la definizione più tecnica, la biodiversità è la varietà della vita sulla Terra a tutti i livelli. La diversità delle specie animali e vegetali, tutti gli organismi che insieme creano ecosistemi sani. In termini più semplici, possiamo identificarla con la natura, o con la perdita di natura.

Un rapporto di valutazione globale pubblicato nel 2019 afferma che oltre la metà del prodotto interno lordo (PIL) mondiale, pari a 44.000 miliardi di dollari, dipende dalla natura in misura elevata o moderata.1 Questo dato comprende il pesce di cui ci nutriamo, il suolo di cui abbiamo bisogno per allevare il bestiame e l’impollinazione naturale necessaria per le colture. Il 50% di tutti i farmaci deriva da risorse naturali. Con la crescita della popolazione mondiale e l’iperconsumo, gli ecosistemi si stanno deteriorando a un ritmo allarmante. Il riscaldamento degli oceani e la riduzione delle foreste naturali stanno compromettendo la capacità della natura di fornire le risorse necessarie per la sopravvivenza delle nostre società. Non possiamo continuare a distruggere l’ambiente naturale alla velocità con cui lo facciamo oggi. Per definizione, questo è insostenibile.

Jeff Schulze: Biodiversità è un termine relativamente nuovo?

Anna Cala: Il termine biodiversità è salito alla ribalta internazionale per la prima volta all’inizio degli anni ’90. In quel periodo le Nazioni Unite organizzarono una conferenza sull’ambiente e lo sviluppo a Rio de Janeiro, da cui scaturirono la Convenzione sulla biodiversità e la Convenzione sul cambiamento climatico. La Convenzione sul cambiamento climatico ha fatto passare in secondo piano la questione della biodiversità fino a qualche anno fa, quando il mondo ha finalmente cominciato a capire che non si può risolvere il problema del cambiamento climatico senza affrontare la perdita di biodiversità.

Poi, l’anno scorso, la Conferenza delle Nazioni Unite sulla biodiversità ha elaborato il Quadro globale per la biodiversità, che è stato adottato da quasi 200 imprese. Detto comunemente l’Accordo di Parigi per la natura, si tratta di una tabella di marcia decennale per arrivare a un’economia rispettosa dell’ambiente naturale.

Uno dei principali obiettivi è il “30 by 30”, che mira a proteggere il 30% delle aree marine e terrestri entro il 2030. Stiamo già assistendo all’adozione di misure politiche e normative legate alla biodiversità, e altre ancora dovrebbero arrivarne dal Quadro globale per la biodiversità, in quanto abbiamo appena cominciato a quantificare i costi finanziari effettivi della perdita di biodiversità.

Jeff Schulze: Quali sono le cause della perdita di biodiversità?

Ben Buckley: Tornando indietro di qualche secolo, con l’invenzione dell’agricoltura 10.000 anni fa abbiamo cominciato a rimodellare il mondo intorno a noi. Questo processo non ha fatto altro che accelerare, ricevendo un enorme impulso dall’industrializzazione 300 anni fa. La popolazione è cresciuta notevolmente, e così la ricchezza generata. Tuttavia, questo sviluppo è diventato un fattore di stress per l’ambiente naturale.

Qualcuno l’ha ulteriormente suddiviso in cinque cause fondamentali di perdita di biodiversità. La principale di queste è il cambiamento di destinazione d’uso del suolo: deforestazione e perdita di habitat dovute per lo più alla produzione agricola. Circa la metà delle terre abitabili del nostro pianeta è occupata dall’agricoltura. È questo il fattore principale che influisce sull’uso del suolo: la necessità di nutrire 8 miliardi di persone. La sfida risiede proprio nell’assicurare un’alimentazione adeguata a un numero così alto di persone senza per questo provocare il continuo deterioramento dell’ambiente naturale.

La seconda causa è l’eccesso di sfruttamento, ad esempio dei terreni esistenti. Un’altra possibilità è la pesca incontrollata. A causa del forte degrado del suolo, nel mondo è stato abbandonato circa un miliardo di acri di terreni agricoli. Anche l’eccesso di attività venatoria e l’esaurimento delle falde acquifere incidono sugli ecosistemi locali.

La terza causa è il cambiamento climatico stesso, i cui effetti si manifestano in diversi modi, ad esempio nell’acidificazione degli oceani, che provoca l’assottigliamento dei gusci dei molluschi. Il riscaldamento degli oceani si ripercuote anche sui salmoni, che in Canada faticano ad adattarsi alle temperature più alte. Questi pesci hanno bisogno di acqua fredda per sopravvivere.

La quarta causa è l’inquinamento, dovuto principalmente alle sostanze agrochimiche che fuoriescono dai terreni agricoli e gravano sugli ecosistemi, ma anche ai rifiuti in plastica, che rovinano gli ecosistemi marini.

La quinta causa è da ricercarsi nelle specie invasive. Il primo esempio che mi viene in mente è quello della lycorna delicatula, una cicalina arrivata negli Stati Uniti dalla Cina poco meno di 10 anni fa che ha registrato una crescita esplosiva nelle regioni del Nord-Est e che rovina la resa dei raccolti. Molti temono per le sorti dei vigneti di Long Island.

Jeff Schulze: Come sono collegati tra loro il cambiamento climatico e la perdita di biodiversità?

Anna Cala: Il cambiamento climatico è una causa della perdita di biodiversità, e la perdita di biodiversità è a sua volta una causa del cambiamento climatico. Se continuiamo ad abbattere le foreste, eliminiamo importanti pozzi naturali di assorbimento del carbonio. Le sfide poste dalla biodiversità, tuttavia, sono diverse da quelle che stiamo affrontando attualmente con il cambiamento climatico.

Innanzitutto, non esiste un’unica metrica per misurare il tasso di perdita della biodiversità, a differenza di quanto avviene con il cambiamento climatico, per il quale si usano le emissioni di gas a effetto serra (GHG) o le emissioni di carbonio. La biodiversità, inoltre, è molto localizzata, mentre le emissioni sono globali. Riducendo le emissioni in qualsiasi parte del mondo si può contribuire a risolvere il cambiamento climatico. Per contro, la pesca incontrollata nel Mar Mediterraneo ha effetti molto diversi e richiede soluzioni assai differenti rispetto alla deforestazione dell’Amazzonia in Brasile.

Per questi due motivi è più difficile misurare la perdita di biodiversità e affrontare i problemi che comporta. Quale risvolto positivo, tuttavia, avendo una dimensione più locale ed effetti più tangibili, la perdita di biodiversità può essere politicamente più facile da affrontare rispetto al cambiamento climatico.

Jeff Schulze: In che termini ClearBridge affronta la perdita di biodiversità con le aziende con cui interagisce?

Ben Buckley: I nostri analisti dei settori alimenti e bevande, ristorazione e vendita al dettaglio di prodotti alimentari dedicano molto tempo a valutare la sostenibilità degli approvvigionamenti, delle pratiche di lavoro e delle politiche ambientali nelle rispettive catene produttive. Un esempio sarebbe l’adozione di solide politiche di approvvigionamento. Per restare sul tema, dal 2011 un grande operatore delle vendite al dettaglio ha limitato le vendite di frutti di mare inseriti nella lista rossa delle specie a rischio. Semplicemente si rifiuta di venderli. Ogni anno rivede la lista in questione e lavora anche con gli enti certificatori della stewardship. Lo stesso vale per un altro grande rivenditore e per il suo approvvigionamento di legno da costruzione e legname. Alla fine degli anni ’90 questa società ha aderito al Forest Stewardship Council per assicurarsi che il legno venduto nei propri negozi non sia stato ottenuto attraverso la deforestazione.

Più insolito è il caso di un produttore di erbe e spezie. L’aspetto interessante di questi prodotti è che la loro catena di approvvigionamento differisce da quella delle materie prime agricole negoziate in grandi volumi attraverso molteplici intermediari. Questa attività richiede una collaborazione più diretta con gli agricoltori locali.

Uno dei cinque articoli di punta di questa azienda è la vaniglia, che è molto difficile da coltivare. L’80% proviene dal Madagascar, uno dei luoghi più ricchi di biodiversità al mondo. Per crescere la vaniglia ha bisogno delle condizioni presenti nella foresta pluviale, ha bisogno di umidità. Ma la deforestazione è un problema enorme in Madagascar, per cui l’azienda è molto impegnata su questo fronte. Nello specifico, cerca di avere un impatto positivo sull’ambiente e sulle comunità locali attraverso un approvvigionamento sostenibile, e collabora con queste ultime per fornire assistenza diretta alle migliaia di agricoltori e formarli su metodi di coltivazione che non richiedono un ulteriore disboscamento delle foreste. Nell’arco di cinque anni l’azienda ha incrementato la percentuale di vaniglia proveniente da coltivazioni sostenibili dal 10% al 100%. Questo è un esempio molto concreto e poco noto del tipo di interventi che queste aziende possono mettere in campo quando vogliono fare qualcosa al riguardo.

Jeff Schulze: Esistono opportunità di ricavo per le aziende che affrontano la perdita di biodiversità?

Ben Buckley: A differenza del cambiamento climatico, nel caso della biodiversità non esiste un settore dell’energia pulita con un grande mercato di riferimento in grado di entusiasmare gli investitori. Onestamente, se la maggior parte dell’attività economica incide negativamente sulla natura in un modo o nell’altro, si tratta semplicemente di fare meno danni.

Tuttavia, si possono prendere importanti misure per ridurre il danno. Molto si può fare con il miglioramento dell’efficienza, ad esempio sostituendo un prodotto ad alto impatto con uno a basso impatto. Pensiamo alle microplastiche. L’abbandono delle bottiglie di plastica può avere effetti sostanziali e costituisce una buona tesi d’investimento a favore delle imprese che producono lattine in alluminio, che possono essere riciclate all’infinito e sostituire le bottiglie di plastica. Si tratta di un’importante opportunità di investimento per ridurre nel tempo il consumo di plastica, man mano che questa perde il favore dei consumatori e si introducono nuove norme per limitarne l’uso.

Un’altra potenziale fonte di ricavi è la riduzione dell’impatto. Un settore importante in quest’ambito è quello della tecnologia agricola, le cui dimensioni complessive dovrebbero raddoppiare entro il 2030. Una grande società di macchinari agricoli, ad esempio, genera una quota crescente del proprio fatturato dalle tecnologie agricole di precisione. Per esempio, l’azienda ha incorporato nelle sue macchine irroratrici per erbicidi un sistema di visione artificiale, che riesce a vedere le piante nei campi e a distinguere una coltura sana da un’erbaccia, in modo da dirigere il getto dell’erbicida su quest’ultima e lasciare stare la pianta. Questo favorisce un uso molto più mirato degli erbicidi rispetto all’irrorazione a tappeto e può migliorare i rendimenti per gli agricoltori. Erbicidi, pesticidi e fertilizzanti sono input costosi per le aziende agricole, e questo sistema può migliorare notevolmente l’efficienza dell’uso di questi prodotti chimici in agricoltura. È un’area senz’altro entusiasmante.

La terza opportunità proviene dal trattamento dell’inquinamento. Un’azienda si occupa del trattamento delle acque di clienti industriali, per assicurarsi che sia priva di microplastiche quando viene reimmessa in natura, eliminando le tossine. Questi sono tre esempi di opportunità di ricavo che a nostro avviso sono destinate a crescere grazie alla maggiore attenzione riservata alla biodiversità.



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