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In qualità di membri del team Mercati Emergenti (ME) di Western Asset abbiamo partecipato alle riunioni primaverili del Fondo Monetario Internazionale (FMI) e della Banca Mondiale tenutesi il mese scorso a Washington. Il nostro programma includeva incontri con politici, personale del FMI, banche multilaterali di sviluppo, analisti politici e personale del tesoro statunitense.

Elementi chiave da ricordare degli incontri

Ancora una volta, riteniamo utile esaminare le riunioni di primavera di quest'anno attraverso la prospettiva delle view che abbiamo espresso in occasione della nostra partecipazione alle riunioni autunnali. In quel periodo, avevamo evidenziato prospettive impegnative per i mercati, attribuibili principalmente a:

  1. Geopolitica: differenze inconciliabili in Russia; intensificarsi delle relazioni tra Stati Uniti e Cina.
  2. Inflazione e Fed: condizioni finanziarie rigide (e in via di irrigidimento) negli Stati Uniti, spazio politico limitato a livello globale e maggiori rischi di una ‘rottura’ sistemica.
  3. I responsabili politici dei ME sono in difficoltà: i mercati hanno richiesto ortodossia politica, a scapito della crescita; i Paesi che non sono riusciti nell’intento dovranno affrontare sfide maggiori.

Questi fattori rimangono in gran parte degli ostacoli. Ma il tono delle riunioni di primavera è stato decisamente più costruttivo. Da ottobre, i rendimenti degli investimenti nei mercati emergenti ci sono sembrati rimarchevoli. Ciò è evidente soprattutto nelle principali economie dei ME, dove la performance dei cambi (FX) è stata forte (anche per i Paesi importanti più deboli, come la Colombia), ma anche gli spread sovrani hanno ottenuto buoni risultati. La debolezza del dollaro USA si è rivelata un fattore chiave della recente performance.

A nostro avviso, la “debolezza del dollaro USA” è una funzione di aspettative relative a: un brusco cambio di rotta da parte della Federal Reserve (Fed) e della Banca Centrale Europea (BCE), uno spazio politico che continua a essere caratterizzato da tassi “più alti più a lungo” e una crescita cinese che sostiene una crescita globale (al di fuori degli Stati Uniti) che è “abbastanza buona”.

La politica monetaria statunitense si distingue come la più chiara “anomalia di prezzo” potenziale dopo le riunioni. Gli sviluppi del settore bancario sono stati al centro delle nostre discussioni. Le riunioni hanno rafforzato la nostra opinione che i rischi per il sistema bancario statunitense non sono sistemici. I fallimenti della Silicon Valley Bank e della Signature Bank sembrano di natura idiosincratica e in gran parte frutto di una cattiva gestione delle attività e delle passività specifiche della banca. A differenza del 2007/2008, il sistema finanziario statunitense non si trova nel mezzo di un problema di qualità degli asset pressoché universale. E ora abbiamo un copione ben collaudato di risposta alle crisi. In questo contesto, riteniamo che ci sia una reale possibilità che il mercato stia sopravvalutando i potenziali fattori avversi all'economia statunitense provenienti dal settore finanziario. Ciò potrebbe consentire alla Fed di mantenere tassi “più alti più a lungo”, facendo pressione sulle aspettative del mercato per i tagli dei tassi USA nel brevissimo termine e fornendo sostegno aggiuntivo al dollaro USA rispetto ai peer dei mercati sviluppati (MS).

L'Europa, fondamentalmente, non è stata inserita nell'agenda di questa primavera. Se interpretiamo tale assenza come un accordo, allora esiste quasi un consenso sulle prospettive di inflazione e crescita europea “sufficientemente buone”, nonché sulla capacità della BCE di calibrare in modo appropriato l’irrigidimento quantitativo (QT), i tassi di riferimento e la liquidità (per rispondere alla frammentazione e ai rischi del settore finanziario). In un contesto globale complicato, ci preoccupa un po' la compiacenza. La gestione di Credit Suisse da parte delle autorità svizzere è stata vista come una questione idiosincratica e specifica della Svizzera e non necessariamente come un precedente per ciò che ci si può aspettare dall'Europa più in generale.

L'abbandono da parte della Cina della politica zero-Covid a novembre scorso ha sorpreso noi (e il mercato) spianando la strada a un rimbalzo concentrato in specifici segmenti dell'economia cinese. Attribuiamo parte della forza dell'Europa alla riapertura della Cina e riteniamo che la sovraperformance (rispetto allo yuan) delle principali coppie di valute asiatiche (in particolare, il won sudcoreano e il baht thailandese) sia indicativa dell’effetto ricaduta della maggiore forza dei consumatori cinesi. Un rapido esame dei prezzi delle materie prime, tuttavia, evidenzia i limiti della storia della riapertura cinese. Non si tratta chiaramente di una risposta politica o di un impulso alla crescita globale in stile 2009. Con un ampio consenso nel breve termine, gli sviluppi dell’economia cinese sono stati discussi quasi esclusivamente nel contesto della competizione strategica con gli Stati Uniti e delle implicazioni a più lungo termine per le esportazioni, gli investimenti e la crescita potenziale. Abbiamo illustrato le nostre view sull’argomento anche in autunno.

Nonostante l'ampio consenso sui fattori chiave delle prospettive macro, i sondaggi tra gli investitori hanno evidenziato una convinzione limitata nella maggior parte delle operazioni - con la possibile eccezione di una view costruttiva sui tassi locali dei mercati emergenti - che probabilmente riflette il complesso mix di rischi (per lo più di coda) che il mercato deve affrontare. Si tratta di un elenco relativamente lungo di rischi, che comprende: (1) il (grave) impatto fiscale e finanziario di una prova di forza sul tetto del debito, che a sua volta dipende dalle disfunzioni della politica statunitense; (2) uno scenario “rialzo-pausa-rialzo” per la Fed; (3) la continua pressione sul sistema finanziario statunitense a causa di problemi di qualità degli asset nel settore degli immobili commerciali; (4) un rapido deterioramento delle relazioni tra Stati Uniti e Cina (data l'ampiezza della sovrapposizione di interessi economici e di sicurezza, c'è ampio margine affinché un “incidente” acceleri un declino più pronunciato nelle relazioni bilaterali) e (5) un'ulteriore frammentazione geopolitica, che provocherà generalmente un impulso stagflazionistico per l'economia globale, dato il potenziale impatto sulle catene di fornitura e sui prezzi delle materie prime.

Anche la sostenibilità del debito e l'”architettura” del debito sovrano globale sono stati al centro degli incontri. Con numerose ristrutturazioni sovrane rimaste bloccate, lo spettro di un “decennio perduto” simile a quello degli anni ottanta ha pesato sulle prospettive di molti emittenti dei mercati emergenti con rating B. Per aiutare questi mercati a tornare a funzionare sembra necessario lavorare a un meccanismo funzionale di ristrutturazione del debito che renda la durata e la gravità di questi eventi più prevedibili e, di conseguenza, minimizzi l'impatto economico reale della sofferenza del debito. Durante la settimana sono stati compiuti progressi concreti su alcuni di questi temi, anche se è evidente che c'è ancora molto da fare. Di conseguenza, abbiamo assistito a una risposta positiva del mercato nelle due situazioni di sofferenza principali (Sri Lanka e Zambia), attualmente in via di risoluzione.

Il tema “ESG” è stato decisamente meno presente rispetto agli ultimi anni e l'attenzione degli investitori si è rivolta più precisamente al cambiamento climatico e alla creazione di mercati del debito scalabili e sostenibili. Riteniamo che questo possa rivelarsi uno sviluppo positivo. I mercati del debito sostenibile che enfatizzano le politiche del settore pubblico, lo sviluppo di beni pubblici globali e la rilevanza economica dei fattori ambientali possono contribuire direttamente agli obiettivi di impatto e sostenibilità. Riteniamo che questo spostamento del focus rappresenti un passo avanti per i mercati ESG sovrani, migliorando un approccio che considera implicitamente il debito sovrano e il debito societario come intercambiabili e che, di conseguenza, enfatizza l'identificazione del rischio ESG e le obbligazioni a destinazione vincolata (“use of proceeds bond”) come suoi elementi fondamentali.

Tirando le somme, riteniamo che le prospettive di investimento per i mercati emergenti continuino ad apparire ragionevolmente costruttive. In un caso di base in cui il dollaro USA si rafforza al margine rispetto ai peer dei mercati sviluppati, i mercati emergenti dovrebbero ancora beneficiare di un ambiente favorevole per il sentiment di rischio, dati i risultati “sufficientemente buoni” della crescita nei tre principali motori economici del mondo (Cina, Europa e Stati Uniti). Tuttavia, i rischi abbondano, per cui anche se il caso di base è costruttivo, lo definiremmo allo stesso tempo come fragile. Una lettura errata della Fed, che porti a un ciclo di tagli prima del previsto da parte delle banche centrali dei Paesi emergenti, potrebbe compromettere la forza valutaria cui assistiamo da ottobre. Analogamente, vediamo anche rischi per l'attuale view di “eccezionalità della crescita” cinese ed europea. Una prospettiva più aggressiva della Fed, abbinata ad una crescita più debole in una delle due regioni, potrebbe innescare un nuovo rafforzamento del dollaro USA e il ritorno di elementi sfavorevoli sia per i responsabili politici dei Paesi emergenti che per i prezzi degli asset dei mercati emergenti.



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