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L’anno nuovo sembra essere molto promettente e al contempo fortemente incerto. L’economia statunitense entra nel 2025 con un forte slancio: negli ultimi trimestri la crescita ha superato le aspettative, il mercato del lavoro sembra essersi ampiamente stabilizzato a un livello solido, e sia la fiducia delle imprese sia quella dei consumatori è in ripresa. L’incertezza deriva in parte dalla volatilità geopolitica e dai rischi di ribasso per l’economia globale, poiché altre importanti regioni economiche, come Europa e Cina, affrontano sfide significative. Tuttavia, un’ulteriore fonte di incertezza proviene dai programmi economici della nuova amministrazione statunitense.

Il Presidente eletto Trump e il suo team hanno proposto diverse e importanti modifiche nella politica economica. Alcune sono indubbiamente positive: un contesto normativo più favorevole alle imprese stimolerebbe gli investimenti e la crescita economica; in effetti, l’aspettativa di una semplificazione della regolamentazione potrebbe già rafforzare la fiducia delle imprese. Altre sono potenzialmente negative, a seconda di come e in quale misura verranno implementate.

Iniziamo con le tariffe. Per contestualizzare la situazione, è importante tenere presente alcuni aspetti.  In primo luogo, il commercio estero ha un peso relativamente ridotto nell’economia statunitense, quindi il canale commerciale ha un impatto relativamente minore sulla crescita. Secondo, le tariffe impattano una tantum i prezzi relativi e non generano ripercussioni durature sul tasso di inflazione complessivo. Quindi, anche se la nuova amministrazione decidesse di procedere con un dazio generalizzato del 10% su tutti i partner commerciali e uno del 60% sulla Cina, e se questo dovesse scatenare una reazione proporzionata, stimiamo che si potrebbe verificare un aumento temporaneo dell’inflazione pari allo 0,5% ed eventualmente un impatto negativo contenuto sulla crescita.1 Per amore di chiarezza, le tariffe non rappresentano una buona scelta politica, essendo una modalità debole e inefficiente per generare ricavi. Sarebbero dannosi per le economie più aperte di alcuni dei nostri partner commerciali e potrebbero causare disagi in settori specifici a seconda delle merci e dei Paesi bersaglio, e delle tariffe applicate. Ma l’impatto complessivo sulla crescita e sull’inflazione degli Stati Uniti sarà probabilmente modesto.

Poi c’è la minaccia delle espulsioni di massa. I livelli record di immigrazione hanno contribuito all’impennata occupazionale dopo la pandemia. Negli ultimi quattro anni, la quota di occupazione attribuibile ai lavoratori nati all’estero è aumentata di 1,5 punti percentuali, raggiungendo il 19,4%.2 Questo aumento ha visto l’ingresso di 5,3 milioni di lavoratori straniero, che rappresentano un terzo dell’aumento totale dell’occupazione. Quindi, sia l’immigrazione legale che quella illegale hanno contribuito a un importante shock positivo della forza lavoro. Le espulsioni di massa potrebbero in parte invertire la tendenza. Anche se la domanda di lavoro si è raffreddata, una riduzione improvvisa dell’offerta di lavoro potrebbe danneggiare la crescita, specialmente in settori come l’edilizia e l’accoglienza, e far incrementare i salari, ostacolando il processo di disinflazione in corso. Un rafforzamento dei controlli sull’immigrazione clandestina avrebbe invece un impatto economico decisamente inferiore. Ancora una volta, tutto dipenderà dalle misure specifiche da implementare, ma ritengo che le grandi espulsioni sarebbero logisticamente difficili da realizzare e quindi poco probabili.

Infine, le promesse elettorali di Trump potrebbero contribuire a un aumento molto consistente del deficit di bilancio nei prossimi anni. Elon Musk e Vivek Ramaswami hanno piani ambiziosi per migliorare l’efficienza del governo. I loro sforzi potrebbero avere un impatto positivo significativo sulla crescita, in misura proporzionata alla riduzione della burocrazia, ma le possibilità di tagli effettivi alla spesa sono limitate. Come ho sottolineato in precedenti articoli, la spesa non voluttuaria e non interessata dagli interessi rappresenta ormai una quota limitata del bilancio, per cui senza affrontare la tematica della spesa pubblica non si possono ottenere risparmi significativi.

Riconosciuta l’incertezza, non ci sono dubbi che l’agenda politica prospettata complessivamente sia favorevole alla crescita, anche grazie alla possibile estensione dei tagli fiscali introdotti con il Tax Cuts and Jobs Act del 2017. Questo potrebbe spiegare l’atteggiamento ottimista del presidente della Federal Reserve (Fed), Jerome Powell, nell’ultima conferenza stampa del 2024. Powell ha ribadito che l’economia è “in ottima forma” e ha espresso fiducia nel fatto che il nuovo anno sarà ancora migliore del precedente.

Questo tono positivo è accompagnato da un cambiamento molto significativo nella posizione della Fed: Powell ha lasciato intendere che ulteriori tagli dei tassi saranno pochi e distanziati nel tempo. Ha segnalato che l’imprevedibilità sull’inflazione è ora più elevata, sia a causa sia dell’incertezza politica sia per i recenti dati sull’inflazione superiori alle aspettative. E, pur insistendo sul fatto che la politica monetaria rimane “significativamente restrittiva”, ha anche affermato che ora è più vicina alla neutralità. La Fed ritiene ora di potersi muovere con maggiore cautela nell’adeguare la politica monetaria, e i dots indicano solo altre due riduzioni dei tassi nel 2025, con il tasso sui fed fund che chiuderà l’anno al 3,9%. Questo è coerente con le previsioni economiche riassunte nel Summary of Economic Projection (SEP), che ora prevede una spesa per consumi personali di base (PCE) del 2,5% entro la fine del 2025.3 In questo modo, il SEP si è ampiamente allineato alla mia opinione, secondo la quale questo ciclo di riduzione dei tassi sarà breve e limitato, anche se continuo a prevedere un’inflazione leggermente più elevata rispetto a quella della Fed.

Con i tassi più vicini alla neutralità, condizioni finanziarie accomodanti, previsioni di un aumento dell’inflazione, rischi di inflazione più elevati e un’economia forte, perché la Fed ha tagliato nuovamente i tassi questo mese? Powell ha ammesso che si è trattato di una decisione difficile, e non è facile allontanare il sospetto che la Fed abbia dato la priorità al soddisfacimento delle aspettative dei mercati finanziari che avevano già pienamente incorporato una riduzione dei tassi.

Ho anche avuto l’impressione che la Fed sia disposta a tollerare più a lungo un’inflazione superiore all’obiettivo. La forza dell’economia e il reiterato allentamento delle condizioni finanziarie (attualmente le più accomodanti dalla fine del 2021, secondo l’indice della Fed di Chicago) suggeriscono che la politica monetaria è leggermente restrittiva, non in modo significativo.

Condizioni finanziarie accomodanti suggeriscono che la politica monetaria è leggermente restrittiva
2012–2024

L’area ombreggiata indica una recessione negli Stati Uniti.

Fonti: Federal Reserve Bank of Chicago. Analisi a cura di Franklin Templeton Fixed Income Research. Al 13 dicembre 2024.

Un’interpretazione favorevole consiste nel fatto che ora che l’inflazione è stata ridotta sostanzialmente, la Fed preferisce salvaguardare il contesto di forte crescita piuttosto che accelerare l’ultimo tratto di disinflazione. Ne comprendo la logica: l’indice dei prezzi al consumo (CPI) generale è inferiore al 3% e una crescita forte può aiutare i salari a recuperare il potere d’acquisto perduto.

Tuttavia, da una lettura più critica emerge che la Fed ha di fatto innalzato il suo obiettivo di inflazione a un range del 2,5%-3%, situazione non priva di rischi. Il CPI core è rimasto fermo al 3,3% dall’estate scorsa, segnalando il rischio di una nuova ripresa dell’inflazione al consumo generale.

Cosa si prevede per il 2025? Credo che l’economia statunitense manterrà una forte dinamica di crescita. Le condizioni del consumatore statunitense sono favorevoli e, come già detto, la prospettiva di alcune riforme vantaggiose per le imprese dovrebbe dare un ulteriore impulso. Una continua politica fiscale accomodante offrirà ulteriore sostegno. L’incertezza politica è significativa, ma ritengo che le espulsioni di massa siano logisticamente molto difficili da realizzare e quindi poco probabili. Le possibilità di mosse più aggressive sulle tariffe sono invece maggiori, e qui vedo un rischio maggiore di rialzo temporaneo dell’inflazione anziché di danni alla crescita più duraturi. In generale, ritengo che i progressi in termini di disinflazione possano essere ancora più difficili di quanto la Fed immagini.

Alla fine del 2024, sia le aspettative della Fed sia quelle dei mercati si sono in gran parte allineate con quanto sostengo da tempo, ossia che il tasso di riferimento “neutrale” sia intorno al 4%. Attualmente il tasso di riferimento è compreso tra il 4,25% e il 4,5% e potremmo assistere soltanto a un altro taglio di 25 punti base nel corso del 2025.

La vendita massiccia di Treasury USA (UST) subito dopo la riunione della Fed sembra quindi giustificata, dato che i mercati si aspettavano altri tagli dei tassi da parte della Fed. Per il 2025, prevedo un ulteriore rischio di rialzo dei tassi UST a 10 anni. A mio avviso, se l’agenda fiscale di Trump fosse completamente attuata, sarebbe molto probabile che i tassi a dieci anni superino il 5%, a causa della pressione sull’emissione derivante da deficit di bilancio ancora più grandi. Tuttavia, tale agenda potrebbe incontrare una resistenza significativa all’interno delle fila repubblicane del Congresso; ciò potrebbe limitare l’entità dell’allentamento fiscale e di conseguenza contenere l’incremento dei rendimenti dei titoli UST nell’intervallo del 4,5%-5%.

In questo contesto, il carry positivo dei tassi d’interesse rimane un elemento centrale delle nostre decisioni d’investimento. Scegliendo posizioni obbligazionarie che possano offrire incrementi di reddito mensili, saremo in grado di aumentare i rendimenti indipendentemente dall’andamento e dalla forma della curva dei rendimenti.

Nell’universo obbligazionario, riteniamo che alcuni settori siano meno vulnerabili alle sorprese negative delle politiche. Le obbligazioni societarie di qualità inferiore dipendono maggiormente dalla solidità dell’economia statunitense e sono meno esposte a potenziali cambiamenti politici (anche se gli spread sono già estremamente ristretti). La proposta di una riduzione della regolamentazione bancaria dovrebbe essere un fattore favorevole ai prodotti cartolarizzati. Dall’altro lato, il credito societario non statunitense e le obbligazioni dei mercati emergenti potrebbero subire un forte impatto a causa di importanti cambiamenti nelle politiche statunitensi, e in questo caso l’investimento dovrebbe concentrarsi sulla scelta di settori ed emittenti che godono di una certa protezione da eventuali oscillazioni delle politiche statunitensi.

Il Presidente eletto Trump ha espresso il desiderio di un dollaro più debole, ma molte delle politiche che ha delineato (con la principale eccezione della politica fiscale) puntano a una valuta più forte, tanto più in considerazione delle prospettive di crescita più deboli in altre importanti regioni economiche. Pertanto, almeno nel breve periodo, è probabile che il dollaro rimanga ben sostenuto rispetto alle valute dei principali partner commerciali.

Il clima di incertezza invita a prepararci alla volatilità ancora una volta. Credo che una strategia d’investimento attiva, fortemente basata sull’analisi dei fondamentali, rimanga l’approccio migliore a questo contesto economico e finanziario. In Franklin Templeton Fixed Income, continueremo a offrire questo approccio ai nostri investitori.

Auguro a tutti voi un 2025 ricco di successi!



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