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Il regolatore ha portato una ventata d’aria fresca per rivitalizzare l’allocazione del capitale.

Questo articolo, scritto da Anne Simpson, Global Head of Sustainability di Franklin Templeton, è stato pubblicato per la prima volta nella rubrica Opinion Markets Insights del Financial Times il 30 marzo 2022. Yu (Ben) Meng, Ph.D., Executive Vice President di Franklin Templeton, ha contribuito a questa rubrica.

L’aumento della frequenza e della gravità degli eventi meteorologici estremi è accompagnato da una maggiore attenzione ai rischi del cambiamento climatico. Tuttavia, in assenza di rapporti finanziari coerenti a tale riguardo, gli investitori e le imprese hanno dovuto avanzare una loro ipotesi circa l’impatto sui mercati e sull’economia.

La ragione è semplice: il reporting del rischio climatico non impone alcuno standard di riferimento. La situazione è cambiata la settimana scorsa, quando l’autorità di regolamentazione del più grande mercato finanziario mondiale, la Securities and Exchange Commission, si è riunita per introdurre l’obbligatorietà di un reporting del rischio climatico per le aziende pubbliche.

L’International Energy Agency stima che per azzerare le emissioni nette entro il 2050, gli investimenti globali nel solo settore energetico dovranno crescere fino a circa 5 miliardi di dollari all’anno in meno di un decennio.1 Dato l’ingente indebitamento del settore pubblico, la maggior parte del capitale necessario dovrà venire dal settore privato.

Una barriera all’impiego di quel capitale privato vitale è la mancanza di dati sulla qualità dei collocamenti proposti, per consentire agli investitori di assumere valide decisioni di investimento. Attualmente, la divulgazione dei dati climatici è trattata in modi disparati: negli Stati Uniti è volontaria, in Francia è obbligatoria, mentre in Australia prevale l’approccio “comply-or-explain” ovvero adesione ai principi o giustificazione degli scostamenti rispetto ad essi. Inoltre, gli standard volontari suggeriti dalla Taskforce on Climate-Related Financial Disclosure, commissionata dal G20, variano ampiamente.

Affinché il capitale privato si faccia carico delle complesse e difficili sfide della transizione energetica, la divulgazione del rischio climatico deve essere standardizzata, obbligatoria e regolamentata al pari dei rendiconti finanziari. In tal modo si garantisce che sia tempestiva, accurata, completa e verificata.

A prima vista, le aziende possono snobbare la richiesta della SEC di fornire un nuovo reporting necessario agli investitori, sostenendo che i dati sul clima non sono facilmente disponibili e la loro divulgazione è laboriosa e costosa. Data la mancanza di standardizzazione, la divulgazione di questi dati indefiniti può anche esporre un’azienda al rischio di controversie. Questi punti hanno un senso se presi isolatamente, ma la divulgazione avvantaggerà finanziariamente le imprese in due modi: incrementando le entrate e riducendo il costo del capitale.

Un recente studio di FCLT Global e Wharton ha spiegato in cifre questa proposta. Le aziende che hanno dimostrato di “passare ai fatti” in tema di sostenibilità hanno osservato un miglioramento in termini di vendite e di ritorno sul capitale investito. I dati di MSCI mostrano anche che le imprese migliori sul fronte della sostenibilità sono riuscite ad abbattere il costo del capitale.2  

Le teorie del professor George Akerlof sull’impatto di mercato dell’asimmetria delle informazioni ci offrono una spiegazione raffinata.3 Esempio tipico si ha quando, su un dato progetto, i mutuatari dispongono di maggiori informazioni rispetto ai potenziali prestatori. Di conseguenza, i prestatori chiederanno un tasso di finanziamento più elevato e maggiori garanzie o, più semplicemente, rifiuteranno la richiesta.

I mutuatari sostengono costi di finanziamento più elevati, mentre i prestatori perdono buone opportunità. La divulgazione finanziaria standardizzata e obbligatoria attenua tali effetti negativi. Gli stessi argomenti valgono per la divulgazione dei rischi climatici. Se le imprese sceglieranno di non divulgare i dati, gli investitori ipotizzeranno lo scenario peggiore e si faranno pagare più caro il capitale.

La SEC ha elaborato con attenzione le sue proposte. Propone una soglia di sicurezza che fornisce protezione dalla responsabilità legale su alcuni elementi, come la rendicontazione delle “emissioni scope 3”, i gas serra generati dalle filiere produttive delle imprese. Per allentare ulteriormente la tensione, la SEC propone di introdurre i requisiti con gradualità e di allentare le regole per le piccole aziende. Inoltre, il tema ricorrente di tutte le proposte è la rilevanza: si chiedono solo informazioni dalle quali, ragionevolmente, un investitore può attendersi di trarre un’utilità.

Gli investitori noteranno che la SEC chiede di divulgare anche altri aspetti vitali, come il prezzo del carbonio o gli obiettivi di riduzione delle emissioni. Un disincentivo che può causare qualche fastidio, tuttavia, è che la divulgazione di tali aspetti sarà richiesta solo ove tali misure siano state adottate dalle aziende. Nondimeno, il numero crescente di proposte degli azionisti mostra chiaramente che gli investitori sosterranno i requisiti della SEC assicurandosi che le aziende non evitino di intervenire sui prezzi e sugli obiettivi di riduzione delle emissioni di carbonio.

Presto, sull’esempio della SEC, seguirà l’iniziativa propria dell’International Financial Reporting Standards per lo sviluppo di standard di reporting del rischio climatico. Il suo neonato International Sustainability Standards Board sottoporrà le proposte elaborate all’attenzione dei regolatori in 144 mercati in tutto il mondo.

Se è vero che i mercati finanziari si nutrono di informazioni, allora la SEC ha appena fornito una gradita ventata d’aria fresca in grado di rivitalizzare l’allocazione del capitale a beneficio di tutti.



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