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Proprio come le condizioni finanziarie si sono allentate, tornando ai livelli di inizio 2022 (prima che i tassi fossero innalzati di oltre 400 pb…), così la conferenza stampa seguita alla riunione della Federal Reserve (Fed) del 31 gennaio – 1° febbraio sembra aver riportato le lancette dell’orologio quanto meno a prima del simposio di Jackson Hole, se non addirittura ai giorni dell’“inflazione transitoria”.

Si è trattato, sorprendentemente, di una conferenza stampa dai toni molto accomodanti, e i mercati finanziari l’hanno giustamente interpretata come tale.

La parte più sorprendente e moderata è stata rappresentata dalle ripetute affermazioni del presidente della Fed Jerome Powell, secondo cui le condizioni finanziarie si sono notevolmente inasprite nel corso dell’ultimo anno. La verità è che si è registrato un inasprimento temporaneo tra agosto e inizio ottobre, quando la Fed aveva segnalato una maggiore determinazione nella lotta all’inflazione, ma da allora le condizioni finanziarie si sono notevolmente allentate. A fine gennaio queste erano tornate ai livelli di inizio aprile 2022, e questo prima del rally dei Treasury e dei mercati azionari statunitensi innescato dalla conferenza stampa della Fed. Tale rally ha di fatto annullato tutte le misure restrittive di politica monetaria adottate finora. Nella parte della conferenza stampa dedicata a domande e risposte, Powell non si è opposto a questo allentamento delle condizioni finanziarie e lo ha quindi avallato.

Le condizioni finanziarie sono tornate ai livelli di inizio 2022

National Financial Conditions Index (NFCI), Federal Reserve Bank of Chicago
Dicembre 2021 - gennaio 2023

Fonti: Federal Reserve Bank of Chicago, Macrobond.

Il presidente della Fed ha ribadito la sua solita serie di argomentazioni da falco, ma sembrava che stesse recitando un copione senza crederci veramente. A me tutto questo è sembrato piuttosto sbrigativo e poco convinto.

Powell ha sottolineato che il mercato del lavoro è ancora troppo teso, aggiungendo però che questo lascia sperare nella possibilità di disinflazionare l’economia con una perdita minima di posti di lavoro. Il presidente della Fed ha osservato che non vi sono ancora segnali di disinflazione nei servizi core non abitativi – che rappresentano circa la metà della misura dell’inflazione di fondo usata dalla Fed – ma in alcuni momenti è parso fiducioso che un calo dell’inflazione in questo settore sarebbe arrivato presto. Powell ha però evidenziato che, qualora l’inflazione dovesse scendere gradualmente senza che si produca una recessione (come previsto dalla Fed), quest’anno non vi saranno riduzioni dei tassi. Tuttavia, dopo di questo Powell ha avvertito che fare previsioni sull’inflazione è molto difficile e che la Fed finora si è sbagliata, il che potrebbe suggerire che forse i mercati finanziari hanno ragione ad aspettarsi una disinflazione più rapida.

Ancora più importante è ciò che Powell non ha detto. Il presidente della Fed non si è opposto all’allentamento delle condizioni finanziarie e, rispondendo a una domanda, ha rifiutato di ammettere che questo sviluppo avrebbe ostacolato il lavoro della Fed, aumentando i rischi di inflazione e rendendo potenzialmente necessaria un’ulteriore stretta monetaria. Powell non ha detto nemmeno che, a causa dell’eccezionale vigore del mercato del lavoro, è improbabile che la crescita dei salari scenda a livelli coerenti con il target di inflazione.

I mercati sono convinti che la guerra contro l’inflazione sia già stata vinta, e Powell sembra voler credere la stessa cosa anche lui.

A ben vedere, ci sono alcuni motivi di cauto ottimismo. L’inflazione è diminuita. Alcune misure della crescita dei salari, in particolare l’Employment Cost Index, sono scese da livelli molto elevati. Anche l’inflazione degli alloggi finirà per rallentare, non appena l’indice inizierà a rispecchiare il calo dei canoni di locazione. Inoltre, alcuni degli effetti ritardati dei rialzi dei tassi della Fed devono ancora farsi sentire.

È per questo che i mercati finanziari credono che la guerra contro l’inflazione sia già stata vinta, ed è per questo che la Fed può nutrire la speranza che l’inflazione possa essere riportata sotto controllo con danni minimi all’occupazione e ai prezzi delle attività finanziarie. Dopotutto, come si è detto durante la sessione di domande e risposte seguita alla riunione della Fed, si è registrato un calo sia dell’inflazione che della crescita dei salari, anche se il tasso di disoccupazione rimane sui minimi degli ultimi 50 anni e i posti di lavoro vacanti continuano a superare di gran lunga le persone in cerca di impiego.

Questa speranza è emersa con forza in alcune dichiarazioni di Powell, ed è una speranza che condividiamo tutti.

Tuttavia, validi motivi inducono a temere che ci attende un percorso molto più impegnativo.

  • L’allentamento delle condizioni finanziarie ha vanificato tutti gli sforzi della Fed sul fronte dei rialzi dei tassi; questo darà sollievo al settore immobiliare e sosterrà un’economia che si è già dimostrata abbastanza resistente. Vale la pena ripeterlo: le condizioni finanziarie si sono allentate a tal punto che è come se i rialzi dei tassi della Fed non fossero mai accaduti.
  • Il mercato del lavoro rimane eccezionalmente teso. Gli ultimi dati del Job Openings and Labor Turnover Survey (JOLTS) rivelano che il rapporto tra posti vacanti e disoccupati è quasi tornato a un massimo di 2. Anche se non si è prodotta una spirale prezzi-salari quando l’inflazione è stata spinta all’8-9% da shock esogeni, diversi indicatori della crescita salariale si aggirano ancora tra il 4% e il 6%; pertanto, potrebbe essere molto più arduo spingere l’inflazione al di sotto del 4-5%, considerando anche che i lavoratori hanno già ceduto molto potere d’acquisto.
  • Inoltre, sebbene Powell abbia affermato che anche le aspettative d’inflazione a breve termine sono ben ancorate, l’ultimo sondaggio della Fed di New York le colloca al 5% (su un orizzonte di un anno), un dato che sembra più coerente con l’attuale crescita salariale del 4-6% che con il target d’inflazione del 2% della Fed.

Credo che i mercati – e in questa fase anche la Fed – siano troppo ottimisti sulle prospettive d’inflazione.

Powell sostiene che la Fed preferisce correre il rischio di attuare una stretta eccessiva anziché insufficiente, ma sembra vero il contrario. La Fed sembra ora troppo tentata dalla possibilità di raggiungere il Sacro Graal, ossia di far scendere l’inflazione dal 9% al 2% mantenendo sempre la piena occupazione e arrecando un danno minimo e temporaneo ai prezzi delle attività finanziarie. Con ogni probabilità, nelle prossime riunioni, la Fed effettuerà un altro rialzo dei tassi, forse due, per poi fermarsi a valutare i dati in arrivo. È una strategia pienamente ragionevole. Tuttavia, avvalorando le speranze di un “atterraggio indolore” e dando il via libera a un ulteriore rally dei mercati, la Fed ha esacerbato il rischio che, dopo una rapida diminuzione dovuta alla cessazione degli shock dell’offerta, l’inflazione possa risalire e radicarsi a un livello ostinatamente elevato, diciamo in un intervallo del 3-5%.

Questo è lo scenario che la Fed dice di voler evitare, ma che lei stessa sta rendendo ogni giorno più probabile.



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