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Questo articolo, scritto da Sonal Desai, Ph.D., Chief Investment Officer, Franklin Templeton Fixed Income, è stato pubblicato per la prima volta sul Financial Times il 23 maggio 2022.

La Federal Reserve (Fed) e i mercati finanziari stanno sperimentando una doccia fredda, attesa da molto tempo, su inflazione e tassi d’interesse. Tuttavia, i mercati hanno appena cominciato a prendere atto di quanto sia cambiato il mondo.

Credo che stiano ancora vivendo un grave caso di dissonanza cognitiva. L’inflazione è salita su livelli che non si vedevano dai famigerati anni ’70 e rimane ostinatamente elevata. La Fed ha avviato una stretta monetaria, alzando già i tassi di riferimento, e si appresta a ridurre il proprio bilancio dopo aver posto fine al programma di acquisto di asset varato per stimolare il mercato.

Anche dopo le indicazioni in merito all’aumento dell’inflazione delle ultime settimane, però, la maggior parte degli investitori continua a credere che i tassi d’interesse saliranno solo in misura moderata e che non rimarranno elevati a lungo. Ritengo che queste aspettative potrebbero essere fortemente errate.

I mercati prevedono un rallentamento della crescita economica degli Stati Uniti all’inizio del 2023, e su questo sono d’accordo. L’inflazione elevata ha eroso il potere d’acquisto e inciderà negativamente sui consumi delle famiglie, anche se il reddito reale è ancora superiore ai livelli antecedenti la pandemia. Le interruzioni delle catene di fornitura continuano a ostacolare la produzione, e la politica monetaria più restrittiva, insieme alla riduzione degli stimoli fiscali, terrà a freno l’attività.

I mercati finanziari hanno finito per credere che la Fed reagirà a questo rallentamento della crescita nello stesso modo in cui ha sempre fatto nel periodo successivo alla crisi finanziaria: con un allentamento rapido e deciso della politica monetaria. Qui mi aspetto che le cose vadano in modo diverso.

Questa volta, quando la crescita avrà decelerato, l’inflazione sarà con ogni probabilità ancora troppo elevata affinché la Fed possa interrompere l’inasprimento. L’inflazione mensile dei prezzi al consumo si è attestata in media allo 0,6% dall’inizio dello scorso anno. Anche se questo tasso mensile si dimezzasse, l’inflazione chiuderà il 2022 vicino a un livello del 6,0% su base annua (a/a), collocandosi su una media del 4,5% nel primo trimestre 2023.

Se i mercati finanziari si aspettano comunque che la Fed attui nuovamente una rapida espansione monetaria, è almeno in parte perché la loro dissonanza cognitiva è stata favorita dal notevole grado di illusione che sembra caratterizzare le prospettive della banca centrale stessa.

La Fed sembra sperare che l’inflazione torni verso l’obiettivo del 2,0%, nonostante i tassi d’interesse di riferimento rimangano negativi in termini reali, ossia su base corretta per l’inflazione. Riuscire ad abbattere l’inflazione in queste circostanze è un’impresa che alla Fed non è mai riuscita prima.

Quanto è probabile che la banca centrale statunitense ci riesca adesso senza una stretta monetaria più aggressiva? La Fed sembra scommettere che le aspettative d’inflazione rimarranno ancorate fino a quando tutti gli shock esogeni non saranno stati eliminati dal sistema. Tuttavia, le aspettative d’inflazione a lungo termine dei consumatori si aggirano già intorno al 4,0% e i salari crescono al ritmo del 5,5% (sulla base della retribuzione oraria media di tutti i dipendenti).

Ogni mese che passa, le aspettative d’inflazione si radicano su un livello più elevato, poiché lavoratori, consumatori e imprese imparano a prevedere e ad anticipare gli aumenti persistenti della propria base di costi. Il rallentamento dell’attività potrebbe attenuare in parte le forti tensioni presenti sul mercato del lavoro. Considerando però che la partecipazione alla forza lavoro è ancora inferiore ai livelli pre-pandemia, l’impatto del raffreddamento dell’economia sulla crescita dei salari potrebbe essere limitato. In altre parole, si sta formando una spirale prezzi-salari per effetto della quale l’inflazione sarà più autosostenuta di quanto ipotizzato dalla Fed.

Ci troviamo dunque a operare in un contesto molto diverso da quello di dieci anni fa. Per la prima volta da oltre 40 anni, l’inflazione si è imposta come un’importante questione politica e sociale. Il tasso anno su anno potrebbe diminuire nei prossimi mesi perché viene misurato rispetto a una base d’inflazione più alta col trascorrere del 2021. L’effetto tuttavia sarà lento e ci sarà sempre uno shock dell’offerta dietro l’angolo che farà risalire l’inflazione. Negli ultimi 12 anni la Fed ha sempre avuto la facoltà di dare la precedenza al sostegno della crescita economica e dei prezzi degli asset perché l’inflazione è rimasta idillicamente latente. Adesso non lo è più.

Mi aspetto dunque che, anche a fronte di un rallentamento della crescita, la Fed continui a innalzare i tassi durante la prima metà del prossimo anno per riportare l’inflazione sotto controllo. E quando i mercati si renderanno conto che la Fed non può permettersi di fare dietrofront, anche i rendimenti a lungo termine saliranno ulteriormente.

Dobbiamo ancora prendere piena consapevolezza del fatto che l’inflazione è diventata autosostenuta e che riportarla sotto controllo sarà più difficile e doloroso di quanto sperato dalla banca centrale e di quanto scontato dai mercati finanziari. Questa volta il ciclo di inasprimento della Fed sarà più lungo e i tassi di riferimento e i rendimenti obbligazionari dovranno raggiungere livelli più alti di quanto i mercati si aspettino attualmente. Il rischio corrispondente per i prezzi degli asset e per la crescita economica è maggiore di quanto molti non vogliano ammettere.



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