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Nella riunione sulla politica del Federal Open Market Committee (FOMC) di marzo, la Federal Reserve (Fed) ha fatto la cosa più ragionevole, e ritengo che anche il messaggio del presidente Jerome Powell sia stato ragionevole. I mercati finanziari ne hanno dato un’interpretazione molto accomodante, che non mi sembra adeguata, e che ancora una volta diverge drasticamente dalle previsioni politiche della Fed. Nella reazione dei mercati vi è una notevole dissonanza cognitiva, come spiegherò qui di seguito.

La Fed ha alzato il tasso d’interesse ufficiale di altri 25 punti base (pb), e ora l’obiettivo è in una fascia tra il 4,75% e il 5,00%. Powell ha ricordato che l’inflazione è ancora troppo alta e il mercato del lavoro continua ad essere troppo vivace; ha anche riconosciuto che la recente turbolenza nel sistema bancario appare destinata a portare a una certa contrazione nelle condizioni del credito, il cui impatto sarebbe analogo a quello di altri rialzi dei tassi e ridurrebbe pertanto la necessità di un ulteriore inasprimento della politica. La Fed di conseguenza ha moderato il suo linguaggio in merito a futuri movimenti dei tassi, passando dal prevedere “continui aumenti” dei tassi di policy ad affermare che potrebbe essere necessario “qualche ulteriore irrigidimento della politica”.

Ma quanto si inaspriranno le condizioni del credito a causa delle tensioni del settore bancario? La Fed non lo sa - e non lo sa neanche nessun altro. Al momento attuale, questa è l’incertezza principale.

Powell ha tuttavia affermato risolutamente che la Silicon Valley Bank (SVB) e la Signature Bank sono due casi assolutamente eccezionali, che le loro vulnerabilità, una cattiva gestione dell’esposizione ai tassi d’interesse e, almeno nel caso della SVB, una concentrazione eccessiva della base di depositi non si rispecchiano in qualsiasi numero rilevante di altri istituti finanziari, e che la situazione complessiva del sistema bancario statunitense è molto solida. Varie analisi recenti del sistema bancario statunitense confermano questa valutazione. Ciò nonostante, potremmo ancora assistere a un certo inasprimento del credito, considerando l’atteggiamento più prudente assunto dalle banche per proteggersi dal rischio di deflussi dei depositi, per quanto improbabile ciò possa essere.  L’economia statunitense continua comunque a crescere a ritmo robusto, e un inasprimento moderato del credito appare molto più probabile rispetto a una crisi in piena regola.

Lo scenario di base della Fed, in realtà, è tutt’altro che accomodante: e certamente non così accomodante come quello dei mercati. Nello scenario di base della Fed, con un certo inasprimento delle condizioni del credito, la banca centrale può limitarsi a forse non più di un altro rialzo di 25 pb dei tassi e a mantenerli al livello più alto per un certo tempo, per consentire all'inflazione di rientrare nei valori target.

Va notato che Powell è stato molto esplicito nell’affermare che la Fed deve ancora lavorare molto per riportare l’inflazione al 2%; da vari mesi a questa parte la Fed non ha fatto praticamente alcun progresso nel rallentare il mercato del lavoro o abbassare il tasso di inflazione per servizi di base diversi da quelli residenziali, la misura cruciale e vischiosa che costituisce circa due terzi dell’inflazione generale. Pertanto, se l’inasprimento delle condizioni del credito non fosse sufficiente, i rialzi della Fed dovranno essere ben superiori alle proiezioni attuali: una possibilità riconosciuta anche da Powell.

Cosa più importante, Powell ha ribadito che la Fed non prevede tagli dei tassi nel 2023. In effetti, le nuove previsioni della Fed hanno alzato la mediana del tasso di riferimento per il 2024 dal 4,1% al 4,3%: se non altro, la Fed sta segnalando che intende mantenere i tassi più elevati più a lungo.

Il mercato, al contrario, stima appena il 50% di possibilità di un solo rialzo dei tassi di 25 punti base e sta considerando nei prezzi 100 pb di tagli dei tassi sotto quanto previsto dal “dot plot” della Fed per la fine dell’anno.1

Vi è una clamorosa dissonanza nei prezzi considerati dai mercati finanziari: La previsione di drastici tagli dei tassi della Fed suggerirebbe una recessione profonda, forse provocata da una grave crisi del credito o una crisi bancaria più ampia. Tuttavia gli asset rischiosi non hanno avuto vendite massicce in misura equivalente. Qualsiasi ampliamento dei differenziali di credito è derivato quasi interamente da variazioni dei tassi esenti da rischio sottostanti. Ciò è tutt’altro che coerente con un contesto economico che obbligherebbe la Fed a tagli dei tassi.

I mercati finanziari sembrano essere tornati al vecchio gioco di prevedere una svolta accomodante della Fed predicata da una pura distorsione dovuta agli eventi più recenti, piuttosto che un peggioramento effettivo delle condizioni economiche. Non contateci. Con un mercato del lavoro ristretto e l’inflazione al 5%-6%, ciò non avverrà affatto, a mio avviso.



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