CONTRIBUTORI

Kim Catechis
Head of Investment Strategy, Martin Currie
Le lotte geopolitiche hanno un impatto diretto sui risultati degli investimenti in materie prime.
A quattro anni dall’inizio di un confronto sempre più aspro e un anno dopo lo scoppio della prima vera pandemia globale in un secolo, il mondo si appresta a una corsa sull’ottovolante della geopolitica e dell’economia. La realtà è che Pechino e Washington hanno visioni molto diverse di come dovrebbe funzionare l’ordine internazionale. A questo punto, la politica sembra essere trainata dall’ideologia e il risultato mette a dura prova gli investitori. Materiali, prodotti agricoli ed energia sono i beneficiari naturali della globalizzazione, e di conseguenza hanno subito in pieno il colpo delle guerre commerciali. Secondo noi tuttavia con le loro caratteristiche meno tecnologiche dovrebbero anche essere quelli meno sensibili a problemi di lungo termine sul fronte del commercio.
Materiali
L’importanza del settore dei materiali è equivalente a quella dell’energia sul piano del contributo alla capacità industriale di un paese. Le notizie in primo piano riguardano in generale il minerale ferroso, e molto raramente le “terre rare”.
Minerale ferroso
Il minerale ferroso non è un materiale raro, né è concentrato geograficamente. I maggiori produttori mondiali sono tuttavia Brasile e Australia, a causa della qualità del minerale e del costo di produzione relativamente basso.
Riserve mondiali di minerale ferroso per paese (2019)
Fonte: Statista – World reserves of Iron Ore by country (2019).
Il maggiore acquirente mondiale è la Cina, le cui importazioni negli ultimi cinque anni hanno leggermente superato un miliardo di tonnellate all’anno.2 Le importazioni della Cina provengono prevalentemente dall’Australia (62%) e dal Brasile (21%).3 Queste percentuali sono destinate a cambiare nel prossimo decennio, almeno in parte, a causa del deterioramento delle relazioni tra Canberra e Pechino. L’Australia è inequivocabilmente nel campo geopolitico degli Stati Uniti, ma la sua economia dipende dalle esportazioni verso la Cina (31%4 delle esportazioni totali) più che verso qualsiasi altro paese del mondo. Le relazioni si sono guastate dopo che l’Australia è stato il primo paese a seguire gli Stati Uniti nel bandire Huawei e ZTE dal suo mercato 5G. Un ulteriore peggioramento è stato dovuto alla richiesta da parte del Primo Ministro Scott Morrison di un’inchiesta internazionale indipendente su come la Cina ha trattato il COVID-19.
L’ambasciata cinese a Canberra per reazione ha inviato un dossier5 di rimostranze ai massimi organi di stampa, con la chiara intenzione di fare pressione sul governo australiano. I dazi cinesi potrebbero arrivare a 20 miliardi di dollari australiani (su un totale di 123 miliardi di dollari australiani6) di esportazioni (vino, carne bovina, orzo e carbone), e sebbene il minerale ferroso non sia stato ancora colpito, probabilmente è solo questione di tempo. È poco probabile che la Cina rinunci completamente alle importazioni di minerale ferroso dall’Australia, che è stata un fornitore molto affidabile di materiale di buona qualità, oltre che in considerazione del tempo necessario per diversificare dal 62%. Il maggiore beneficiario sembra essere il Brasile, soprattutto considerando che il governo Bolsonaro si sia dimostrato recalcitrante nel mettere al bando Huawei e prevede anche un raffreddamento delle relazioni con la nuova amministrazione Biden (che potrebbe preoccuparsi maggiormente per la deforestazione dell’Amazzonia).
Produzione e riserve delle miniere di materiale ferroso mondiali (cinque produttori principali)
Fonte: U.S. Geological Survey, Mineral Commodity Summaries, January 2020, p89.
Il minerale ferroso non sembra risentire dello sganciamento tra la Cina e i paesi allineati agli Stati Uniti. Se il Brasile dovesse aumentare rapidamente la produzione di materiale ferroso, la quota di importazioni cinesi dall’Australia diminuirebbe, proprio come le esportazioni di fagioli di soia dagli Stati Uniti (vedasi la sezione Agricoltura più avanti).
Terre rare
Parlare di metalli di terre rare crea confusione, poiché non sono terre particolarmente rare di per sé - è la concentrazione dei metalli estraibili che è meno abbondante rispetto ad altre. La loro importanza è critica poiché sono necessari per la manifattura di semiconduttori, turbine eoliche e veicoli elettrici, oltre ad avere svariate applicazioni in campo militare; ciò serve ad aumentarne il valore percepito. Sono particolarmente difficili da lavorare, per problemi tecnici ed essendo pericolosi per l’ambiente, e ciò contribuisce alla loro “rarità”. In quest’area la Cina ha ottime carte in mano, dato il suo predominio nel mercato mondiale. Come illustrato nella tabella seguente, la Cina nel 2019 ha prodotto il 63% dei metalli di terre rare mondiali.
Produzione e riserve delle miniere di terre rare mondiali
Fonte: U.S. Geological Survey, Mineral Commodity Summaries, January 2020, p133.
Storicamente, il mondo non si è preoccupato di dover dipendere dalla Cina praticamente per l’intera produzione di terre rare, tanto che la produzione combinata di tutto il resto del mondo dovrebbe aumentare notevolmente per sostituire le forniture cinesi. Benché la maggior parte dei paesi siano poco disposti ad assumersi i costi proibitivi della produzione di terre rare, il Dipartimento della Difesa statunitense ha annunciato recentemente9 una serie di contratti finanziari mirati a incentivare la produzione interna. Anche l’Unione Europea (UE) ha seguito la stessa linea di pensiero, aggiornando il suo elenco10 dei “materiali grezzi critici” ad agosto 2020.
Separatamente, il Dipartimento di Stato statunitense e il Bureau of Energy Resources si sono uniti per stabilire l’Energy Resource Governance Initiative (ERGI), con gli obiettivi dichiarati di promuovere una sana governance del settore minerario e creare catene di fornitura resilienti. È difficile negare l’impressione che la priorità a questo proposito siano le “catene di fornitura resilienti”. Senza fare esplicitamente il nome della Cina, si sottolinea che l’80% delle forniture mondiali di elementi ottenuti da terre rare è controllato da ‘un unico paese,’ e uno degli obiettivi strategici è esplicitamente dichiarato come ‘identificare opzioni per la diversificazione delle catene di fornitura.’11 I partner fondatori originali sono Stati Uniti, Canada e Australia. A questi, secondo quanto affermato dal Dipartimento di Stato, il 21 ottobre12 si sono uniti in un memorandum di intesa il Botswana e il Perù.
Nel 2010 la Cina ha applicato quote all’esportazione di terre rare, allo scopo di dare impulso alle società di elettronica nazionali, dando il via a una seria crisi di fornitura globale. Il problema è stato risolto tramite una combinazione della presentazione del caso da parte degli Stati Uniti all’Organizzazione mondiale del commercio (OMC) e la compliance generale della Cina, unita al fatto che il rialzo dei prezzi di mercato giustificava un aumento della produzione di miniere australiane, che fino ad allora non era stata redditizia. Come indicato nel grafico adiacente,13 da allora si è osservato un calo persistente del dominio della Cina nella produzione. Ciò non toglie che la Cina mantenga il suo status di paese con le maggiori riserve, per cui in teoria potrebbe inondare il mercato o imporre un’altra strozzatura alle forniture, a sua scelta. Alla fine, offerta e domanda continueranno entrambe a non essere elastiche e se Pechino dovesse scegliere di ignorare la redditività nel breve termine potrebbe creare turbative e disincentivi virtuali a volontà.
Agricoltura
Da sempre, la capacità di coltivare cibo sufficiente per una popolazione in crescita è stata giustamente una questione di sicurezza nazionale. Ha spesso dimostrato di essere il fattore limitativo più notevole per il progresso economico, e i paesi fragili sono abitualmente quelli con un’incertezza endemica di cibo. Certi paesi sono benedetti con terreno coltivabile di ottima qualità, condizioni climatiche favorevoli e buon accesso a fertilizzanti e beni sussidiari che trainano la produzione di prodotti alimentari. Sebbene il contributo dell’agricoltura al prodotto interno lordo (PIL) sia in calo costante, gli Stati Uniti continuano ad essere un beneficiario di primo piano della geografia favorevole, delle condizioni climatiche e dell’efficienza nell’attività agricola del paese.
Le associazioni agricole del paese hanno sviluppato nei decenni mercati eccellenti per le esportazioni, consolidando buone relazioni con acquirenti internazionali e conquistandosi un’ottima reputazione per l’affidabilità delle forniture. Nel 2017 tuttavia si è scatenata la guerra commerciale che ha avuto ripercussioni sui beni provenienti dagli Stati Uniti, soprattutto in Cina.
Avendo sostenuto il peso maggiore delle rappresaglie cinesi nelle guerre sui dazi dal 2017, gli agricoltori statunitensi hanno ricevuto sussidi federali diretti per una cifra record di 46,5 miliardi di dollari14 nel 2020, costituiti da sussidi per programmi agricoli accordati direttamente ad agricoltori e allevatori di bestiame.
Questa cifra non include i prestiti USDA e gli indennizzi assicurativi pagati dalla Federal Crop Insurance Corporation. Nel mini accordo commerciale “Fase I” tra l’amministrazione Trump e la Cina è stipulato15 che nel 2020 devono essere acquistati prodotti agricoli per 36,6 miliardi di dollari dagli Stati Uniti. A fine novembre 2020, gli acquisti effettivi erano ancora inferiori a questa cifra, attestandosi a 22,5 miliardi di dollari.
Vi sono tre elementi che possono spiegare la differenza. Primo, gli effetti stagionali: la maggior parte degli acquisti cinesi è effettuata abitualmente nel quarto trimestre dell’anno civile, e non si rifletteranno nelle cifre ufficiali fino all’inizio del 2021. Secondo, le cifre mostrano l’impatto del coronavirus, che ha provocato una chiusura dell’economia in Cina per quasi tutto il primo trimestre 2020. Terzo, Pechino ha dovuto far fronte a una virulenta epidemia di influenza suina africana, che ha obbligato il governo ad abbattere un numero notevole di suini con un conseguente crollo della domanda di fagioli di soia (un alimento essenziale) nel 2020. Potrà volerci parecchio tempo per ricostruire la base dei clienti che si erano abituati ad acquistare fagioli di soia provenienti dal Brasile negli ultimi tre anni, soprattutto tenendo conto dei cambi vantaggiosi in questo periodo. Inoltre l’affidamento crescente degli agricoltori su sussidi federali diretti a fronte di prezzi invariati o negativi nel lungo termine per i loro prodotti non è una sana posizione per il settore in generale.
Esportazioni statunitensi vs. Fase 1
Fonte: Peterson Institute for International Economics.
La situazione della Cina è molto diversa. Il paese ha dovuto incessantemente lottare con aree settentrionali e occidentali semi-aride e aree meridionali tropicali. La differenza climatica non aiuta qualsiasi tentativo di emulare la potenza della produzione agricola statunitense. Il contributo del settore al PIL cinese, che nel 1960 era del 23%, nel 2019 era sceso al 7%.17 Inoltre, secondo una relazione del 2019 del Ministero dell’ecologia e dell’ambiente cinese,18 le acque sotterranee del paese nel 2018 erano classificate per l’86,2% come di ‘cattiva qualità’. Infine, una conseguenza involontaria dell’urbanizzazione vertiginosa alla fine degli anni Novanta e all’inizio degli anni Duemila è stata la perdita di terreno coltivabile a favore di altri utilizzi economicamente più interessanti. Allo stesso tempo, la percentuale della popolazione classificata come ‘denutrita’19 è drasticamente diminuita (secondo l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura20 (FAO), nel 2001 il 10,6% della popolazione cinese era classificata come ‘denutrita’, contro il 2,5% nel 2018).
Considerando il calo della percentuale di popolazione classificata come denutrita, e l’aumento della percentuale a reddito medio, si è creato un deficit strutturale di lungo termine nel soddisfacimento della domanda di alimenti con un tenore proteico più alto, e da qui è nata la relazione simbiotica fino a tempi recenti con gli agricoltori statunitensi. Nonostante l’abbondante produzione di riso, grano e avena, la Cina mantiene la dipendenza dalle importazioni di fagioli di soia e cercando di ricostruire gli allevamenti di suini deve far fronte a una carenza di carne suina nel breve termine.
Quota di mercato dei principali fornitori di fagioli di soia alla Cina, 201921
Fonte: Statista – Top country suppliers China: leading suppliers of soybeans by country 2019 | Statista.
In generale, la Cina è il maggiore importatore mondiale di prodotti agricoli (133 miliardi di dollari nel 201922), in particolare dei fagioli di soia, abitualmente indicati come il settore più concentrato del commercio agricolo globale, poiché l’offerta è dominata da Stati Uniti e Brasile, che congiuntamente rappresentano 80% delle forniture per la Cina. Le esportazioni statunitensi verso la Cina erano di 12,5 miliardi di dollari nel 2017, scendendo poi a 3 miliardi di dollari nel 2018 con l’inasprimento delle guerre commerciali. Nel 2019 il Brasile era arrivato a fornire il 62% delle importazioni cinesi, e attualmente sembra improbabile che i produttori statunitensi riescano a riconquistare la quota di mercato precedente. Gli Stati Uniti non sono più un partner commerciale privilegiato e le imprese di proprietà statale (SOE) che sono le principali protagoniste degli scambi commerciali di materie prime, seguono strettamente i segnali inviati da Pechino.
Molti osservatori hanno sottolineato la presenza di lunga data delle SOE cinesi sotto forma di progetti agricoli in Africa, concludendo che fanno parte della pianificazione di lungo termine di Pechino per garantire la sicurezza alimentare. Il soggetto è stato relativamente poco ricercato, e si è arrivati a concludere che non sembra esserci alcun programma coordinato. Lacune nell’accesso alle registrazioni delle operazioni completate e assenza di prove di volumi rilevanti delle esportazioni commerciali verso la Cina implicano che non sarà l’Africa a nutrire la Cina per il prossimo futuro. Un fattore interessante tuttavia che non sembra essere stato misurato è l’emergere di un’immigrazione estemporanea di cittadini cinesi che stabiliscono attività legate all’agricoltura nel continente. Abitualmente possono essere guidati da contatti che lavorano per infrastrutture o progetti minerari, per poi fermarsi e dedicarsi alle forniture per la comunità in crescita di espatriati cinesi. Non è affatto improbabile che questi investitori di minori dimensioni e individuali finiscano per creare una realtà destinata a durare, ma ci vorranno decenni.
Nell’agosto 2020 Pechino ha lanciato una campagna diretta ad evitare gli sprechi e salvaguardare la sicurezza alimentare, chiamata “piatti vuoti” per reazione all’impennata dei prezzi dei prodotti alimentari durante la stagione estiva. Può aiutare marginalmente, ma come ben risaputo è ancora difficile diversificare le importazioni di prodotti alimentari. Per il futuro, anche con l’inevitabile cessazione del coinvolgimento in molti settori dell’economia, sembra che i prodotti agricoli continueranno ad essere oggetto di scambi commerciali tra Stati Uniti e Cina, semplicemente per motivi di necessità.
Energia
Il mix principale di fonti energetiche della Cina, mostrato nel grafico EIA23 adiacente, continua a essere fortemente orientato al carbone, ma negli ultimi 15 anni sono cresciuti esponenzialmente anche il gas e l’energia rinnovabile. Il settore energetico del paese è stato progressivamente ristrutturato promuovendo l’efficienza energetica e misure contro l’inquinamento, rafforzando la concorrenza e stabilendo prezzi basati sul mercato.
Totale dei consumi primari di energia in Cina per tipo di combustibile, 2019
Fonte: BP statistical review of world energy, 2020.
Nel periodo 2008-2018, i consumi di gas del paese sono cresciuti del 13,2%/anno, mentre la generazione di energia rinnovabile è cresciuta del 33,4%.24
Pechino si è appena impegnata a realizzare la neutralità netta di carbonio entro il 2060, ma per molto tempo avrà ancora bisogno di importare combustibili fossili.
La produzione petrolifera domestica non è sufficiente per influire concretamente sulla domanda del paese, e il coefficiente di dipendenza dalle importazioni di petrolio della Cina è stimato a più dell’80%25 nel 2030. Di conseguenza Pechino continuerà prevedibilmente a mantenere buoni rapporti con una varietà di produttori non allineati e ridurre le importazioni dagli Stati Uniti, a meno che sul piano diplomatico non risulti opportuno arrivare a un miglioramento delle relazioni con la nuova amministrazione Biden.
L’industria petrolifera cinese ha ormai più di 70 anni, e la quota delle iniezioni di acqua nei campi più vecchi di Daqing è nella fase extra alta, il che significa che i depositi ancora esistenti sono distanti e sempre meno economici. Campi più recenti, soprattutto offshore nel Mare della Cina meridionale e nelle acque relativamente poco profonde di Boohai, forniscono attualmente la quota maggiore dell’estrazione, ma il paese ha comunque importato più di 10 milioni di barili di greggio nel 2019.26 La domanda di petrolio della Cina è ora tornata ai livelli pre-pandemia, e la domanda di gas naturale liquefatto (GNL) ha superato i livelli del 2019. Le importazioni di gas naturale tramite gasdotti, tuttavia, sono ancora inferiori ai livelli pre-COVID, mentre la domanda di carburanti per jet è prevedibilmente debole.
Nel contesto della contrapposizione persistente tra Stati Uniti e Cina, è importante comprendere i modelli di acquisti di Pechino. Tra il 2017 e marzo 2020, l’OPEC (Organizzazione dei paesi esportatori di petrolio) ha tagliato volontariamente la sua produzione, per sostenere i prezzi del petrolio. La Cina pertanto ha dovuto aumentare gli acquisti da produttori non appartenenti all’OPEC. Tuttavia, come illustrato nel grafico27 adiacente, le sanzioni imposte a Iran e Venezuela hanno reso molto difficili le esportazioni da questi paesi, con conseguenti benefici per Russia e Brasile. Data la fragilità per natura del mercato petrolifero globale, i paesi dell’OPEC+ hanno concordato un cauto aumento di 500.000 barili/giorno della produzione per il primo trimestre 2021. Sembra che l’investimento upstream stia cedendo la priorità a quello downstream, specialmente in Cina.
Importazioni di greggio della Cina per fonte, 2019
Fonte: FACTS, Global Energy Services, China Oil Monthly Feb 2020. Nota: Il totale potrebbe non essere pari al 100% a causa di arrotondamenti indipendenti.
Un prezzo del petrolio intorno a 45-55 dollari al barile è sufficiente per la Russia, ma inaccettabile per l’Arabia Saudita, gli Emirati Arabi Uniti (EAU) e il resto dell’OPEC. Per quanto riguarda il prezzo breakeven di ciascun paese, l’Arabia Saudita ha ancora bisogno di 78,2 dollari/barile28 per realizzare un breakeven fiscale. Gli EAU hanno bisogno di 75,9 dollari/barile.29 La Russia ha dedicato molto tempo alla preparazione dei dati finanziari sovrani e il suo breakeven è stimato ordinariamente a 40 dollari/barile.30
Logicamente, è importante anche chi siano i maggiori acquirenti. Per l’Arabia Saudita, sono la Cina, il Giappone e l’India. Per la Russia, sono l’UE, la Cina e gli Stati Uniti. Indiscutibilmente il caos creato dalle tensioni tra Arabia Saudita e Russia nonché OPEC a marzo 2020, proprio quando il COVID-19 si stava abbattendo sul mondo occidentale, è stato un fattore determinante per gli acquisti della Cina, anche se tutti gli acquirenti saranno naturalmente opportunistici nel breve termine, avvantaggiandosi degli sconti applicati dai Sauditi per completare le scorte e per forniture strategiche.
Gas
Il contributo del gas alla generazione di energia elettrica in Cina è ancora modesto, con una capacità installata di soli 97 gigawatt (GW)31 a ottobre 2020. Il totale della capacità installata è 2.100 GW, per cui una percentuale del 4,6% deve fare ancora molta strada per essere rilevante nella struttura generale della generazione di elettricità. La direzione è chiara, dopo il recente impegno di Pechino a raggiungere la neutralità netta di carbonio entro il 2060, con il picco di emissioni nel 2030. Ciò dipende indubbiamente dalle caratteristiche del gas: se utilizzato nella generazione di energia elettrica, a seconda della sofisticazione dell’impianto il gas può produrre dal 40% al 50%32 dei gas serra prodotti dagli impianti a carbone. Il 13° Piano quinquennale del paese (fino al 2020) aveva stipulato una capacità installata di 110 GW, e si può tranquillamente presumere che quando ad aprile 2021 saranno pubblicati i dati del 14° Piano quinquennale la cifra sarà notevolmente più alta. Tuttavia non è solo una questione di neutralità del carbonio in generale. Pechino deve imboccare esplicitamente una direzione politica diversa e risolvere gli ostacoli basilari del costo (il carbone ha un prezzo decisamente inferiore) e della fornitura, considerando che il gas d’importazione è relativamente costoso e i volumi della fornitura interna non sono ancora sufficientemente ampi.
Quando si tratta di approvvigionamenti, la strategia è decisamente lineare, con un equilibrio tra contratti di lungo termine con la clausola “take or pay” per i gasdotti e con scadenze più brevi per GNL. Come illustrato nel grafico33 EIA qui di seguito, i fornitori principali sono Australia e Turkmenistan. I volumi dalla Russia prevedibilmente dovrebbero crescere, d’ora in poi, anche se sono ancora limitati dalla capacità dei gasdotti, a parte i terminal per le esportazioni di GNL di Sakhalin, storicamente concentrati sul mercato ad alto valore del Giappone.
Importazioni di gas naturale della Cina per fonte, 2019
Fonte: Global Trade Tracker.
Protezione delle linee di fornitura fisiche
Riteniamo che la Cina sia perfettamente consapevole della sua vulnerabilità sul fronte dell’energia. Grandi quantità di petrolio e gas devono essere spedite dal Medio Oriente in modo sicuro e affidabile. Quasi tutti i trasporti di petrolio avvengono attualmente via mare, con viaggi che durano 26 giorni, in partenza dal porto di Ju’Aymah dell’Arabia Saudita e diretti a Guangzhou. Così come la Nuova Via della Seta (Belt and Road Initiative, BRI) ha lanciato il corridoio economico tra Cina e Pakistan (CPEC) che consente a Pechino di disporre del porto in acque profonde Gwadar, il corridoio economico tra Cina e Myanmar consente di accedere al porto Kyaupkyu sull'Oceano Indiano, a soli 16-17 giorni di navigazione da Ju’Aymah. E per assicurare il libero transito alle spedizioni marittime cinesi, vi è già una serie di porti cinesi. da Djibouti sul Corno d’Africa a Gwadar (Pakistan), Hambantota (Sri Lanka) e Kyaupkyu (Myanmar). Djibouti è la prima base militare oltremare permanente di Pechino, e l’obiettivo dell’ammodernamento della marina cinese è lo sviluppo di una flotta in grado di operare in acque profonde, capace di garantire la libera navigazione per le spedizioni cinesi su rotte molto lontane dalla Cina stessa.
Conclusione
Nel prossimo decennio assisteremo probabilmente a un moltiplicarsi delle iniziative per uno sganciamento tra le due maggiori economie mondiali. Gli investitori sono ben consapevoli della crescente pressione sui governi per prendere posizione. Nei paesi in via di sviluppo, l’offerta della Cina per il vaccino contro il coronavirus e lo sviluppo dell’infrastruttura BRI è già stata accolta molto favorevolmente. Le uniche questioni che potrebbero eventualmente sabotare questo sviluppo sono un’improvvisa e adeguata offerta di finanziamenti da parte degli Stati Uniti, la prova di una qualità insoddisfacente dell’attuazione della BRI, o un errore politico particolarmente eclatante da parte di Pechino. Attualmente sembrano tutte opzioni improbabili, a conferma che se dovesse proseguire lo sganciamento fra Stati Uniti e Cina, molti paesi sono già destinati a entrare nella sfera d’influenza cinese.
Materiali, prodotti agricoli ed energia sono i beneficiari naturali della globalizzazione, e di conseguenza hanno subito in pieno il colpo delle guerre commerciali. Secondo noi tuttavia con le loro caratteristiche meno tecnologiche dovrebbero anche essere quelli meno sensibili a problemi di lungo termine sul fronte del commercio. Un’area in cui la Cina è particolarmente vulnerabile è la sicurezza energetica. Pechino sta adottando misure decisive per risolvere il problema, tramite la BRI, la creazione di una rete di porti amici (da Djibouti sul Corno d’Africa a Gwadar [Pakistan], Hambantota [Sri Lanka] fino a Kyaupkyu [Myanmar]), e l’ammodernamento della sua marina mercantile. L’obiettivo è lo sviluppo di una marina mercantile in grado di percorrere grandi distanze e garantire la libera navigazione per le spedizioni cinesi su rotte marittime a grandi distanze dalla Cina stessa. Infine, considerando che la necessità di sostituire la dipendenza attuale del 58% dal carbone come fonte di energia primaria, la proiezione di Pechino del 2030 come l’anno con un picco delle importazioni di petrolio appare molto credibile.
Di conseguenza il commercio relativo all’energia dovrebbe proseguire relativamente senza ostacoli, anche se sarà sempre al primo posto qualora qualsiasi governo voglia inviare un segnale di scontento.
Definizioni:
L’Organizzazione dei paesi esportatori di petrolio (OPEC) è un’organizzazione intergovernativa di 13 paesi. Fondata il 14 settembre 1060 a Baghdad dai primi cinque membri (Iran, Iraq, Kuwait, Arabia Saudita, e Venezuela), dal 1965 ha la sede centrale a Vienna, Austria, benché l’Austria non sia uno Stato membro dell’OPEC.
La Nuova via della seta (BRI, o B&R) è una strategia globale di sviluppo delle infrastrutture adottata dal governo cinese nel 2013 per investire in quasi 70 paesi e organizzazioni internazionali. È considerata un elemento centrale della politica estera del segretario generale del Partito Comunista Cinese e presidenteXi Jinping, che ha originariamente annunciato la strategia come “Cintura economica della Via della Seta” durante una visita ufficiale in Kazakistan nel settembre 2013.
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Definizione FAO: La prevalenza della denutrizione (PoU) è una stima della percentuale di popolazione il cui consumo alimentare abituale non è sufficiente per fornire l’energia dietetica ai livelli necessari per condurre una vita normale attiva e sana. È espressa in percentuale. Quest’indicatore misurerà il progresso verso SDG Target 2.1 Fonte: FAO Sustainable Development Goals goals/indicators/211.
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QUALI SONO I RISCHI?
La performance passata non costituisce una garanzia di risultati futuri. Gli investimenti esteri comportano rischi particolari quali fluttuazioni dei cambi, instabilità economica e sviluppi politici. Gli investimenti nei mercati emergenti implicano rischi più accentuati connessi con gli stessi fattori, oltre a quelli associati alle minori dimensioni dei mercati in questione, ai volumi inferiori di liquidità e alla mancanza di strutture legali, politiche, economiche e sociali consolidate a supporto dei mercati mobiliari. Gli investimenti nel settore delle risorse naturali comportano rischi particolari, quali una maggiore sensibilità a sviluppi economici e normativi avversi che influenzano il settore.
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