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Le recenti tendenze nel comportamento degli investitori indicano un interesse preponderante per gli investimenti liquidi o equivalenti. È un sentiment facilmente comprensibile considerando che quasi tutte le asset class hanno ottenuto rendimenti modesti nel 2022. Nel 2022, mentre le banche centrali abbandonavano in modo aggressivo una pluriennale politica monetaria espansiva, l’indice S&P 500 e l’indice Bloomberg US Aggregate Bond si sono deprezzati rispettivamente del 19,4% e del 13,1%. D’altro canto, le obbligazioni non hanno garantito alcuno dei vantaggi di diversificazione su cui gli investitori avevano tradizionalmente fatto affidamento. Un effetto secondario di questo scenario unico, protrattosi fino al 2023, è stato il ritorno del rendimento di cui hanno beneficiato soprattutto gli investitori in strumenti liquidi. A differenza di quasi tutti i comuni conti di risparmio, scarsamente remunerativi e fermi a un tasso medio nazionale appena pari allo 0,62%,1 i flussi evidenziano un diffuso interesse per i buoni del Tesoro (T-bills), i certificati di deposito (CD), i mercati monetari e prodotti equivalenti,2 che beneficiano direttamente dell’aumento dei tassi di interesse, attualmente superiori al 5%. Avendo goduto di rendimenti più elevati sugli strumenti equivalenti alla liquidità, quanto è probabile che questa tendenza continui? Soprattutto, cosa dovrebbero valutare in futuro gli investitori per quanto riguarda la liquidità e gli investimenti equivalenti alla liquidità?

Anzitutto, in linea generale, gli investimenti liquidi producono risultati nettamente inferiori rispetto ad altre asset class. Considerando infatti i rendimenti delle nove principali asset class a partire dal 2000, la liquidità ha registrato la performance peggiore in otto anni solari, ovvero il 36% del tempo, mentre ha ottenuto la performance migliore solo in due anni solari, ovvero il 9% del tempo.3

Nel contesto attuale è forse più pertinente analizzare la performance delle obbligazioni rispetto alla liquidità durante gli ultimi sei cicli di rialzo dei tassi della Federal Reserve (Fed) statunitense. Nonostante i primi periodi di sottoperformance, le obbligazioni hanno generato rendimenti nettamente migliori rispetto alla liquidità mantenendo l’investimento per un periodo di tre anni, a partire dal primo rialzo dei tassi (Figura 1). Se si isolano i rendimenti dall’ultimo rialzo dei tassi, la performance cumulativa delle obbligazioni ha quasi doppiato i rendimenti della liquidità nel giro di sei mesi - una tendenza che è proseguita nel triennio successivo. Infine, un investitore avrebbe sacrificato fino al 40% del rendimento triennale se avesse temporeggiato 12 mesi prima di passare dalla liquidità alle obbligazioni (Figura 2).

Figura 1: Rendimenti cumulativi delle obbligazioni rispetto alla liquidità a partire dal Primo rialzo dei tassi

Fonte: Bloomberg. Al 30 novembre 2023. US Agg = Indice Bloomberg US Aggregate Bond Int UST = Bloomberg US Intermediate Treasury. Cash 3M Treasury = Indice Bloomberg US Treasury Bellwethers 3 Month. Municipal Bond = Indice Bloomberg Municipal Bond. M = mesi. Gli indici non sono gestiti e non è possibile investire direttamente in un indice. Non tengono conto di commissioni, spese o oneri di vendita. I rendimenti passati non sono indicazione o garanzia di risultati futuri.

Figura 2: Rendimenti cumulativi delle obbligazioni rispetto alla liquidità a partire dall’Ultimo rialzo dei tassi

Fonte: Bloomberg. Al 30 novembre 2023. US Agg = Indice Bloomberg US Aggregate Bond. Int UST = Indice Bloomberg US Intermediate Treasury. Cash 3M Treasury = Indice Bloomberg US Treasury Bellwethers 3 Month. Municipal Bond = Indice Bloomberg Municipal Bond. M = mesi. Gli indici non sono gestiti e non è possibile investire direttamente in un indice. Non tengono conto di commissioni, spese o oneri di vendita. I rendimenti passati non sono indicazione o garanzia di risultati futuri.

Il secondo aspetto da considerare è che il market timing costituisce raramente una strategia efficace e le attuali allocazioni tattiche di liquidità non fanno eccezione. A titolo esemplificativo, abbiamo analizzato un portafoglio 60/40 (60% azioni/40% obbligazioni) rispetto a un portafoglio 60/40 che impiega la liquidità al posto delle obbligazioni, per ogni mese dal dicembre 1999 al novembre 2022. Al termine di ogni esercizio di un anno, abbiamo verificato quale portafoglio avesse ottenuto il miglior risultato. Emerge che, in questo arco di tempo di quasi 23 anni, un investitore avrebbe beneficiato della liquidità in misura maggiore rispetto alle obbligazioni solo nel 28% dei casi (quasi esclusivamente durante i periodi di stretta monetaria). Se avessimo adottato un approccio meno tattico e ci fossimo limitati a mantenere un portafoglio 60/40 con obbligazioni negli stessi periodi, un’allocazione interamente liquida avrebbe sovraperformato il 7,6% del tempo. Riassumendo, se un investitore avesse accuratamente pianificato le modifiche alla propria asset allocation tattica per ottimizzare i rendimenti, avrebbe ottenuto una sovraperformance in meno dell’8% dei casi (21 mesi su 276) dal 1999.

In terzo luogo, una delle considerazioni più importanti riguarda la diversificazione. Quando gli investitori riducono un’adeguata allocazione obbligazionaria senza ridurre proporzionalmente la loro esposizione azionaria, l’effetto risultante può aumentare il rischio, diminuendo i tradizionali benefici della diversificazione attraverso la correlazione negativa. La Figura 3 mostra come le obbligazioni siano state correlate negativamente alle azioni, mentre la liquidità è rimasta sostanzialmente decorrelata. La correlazione negativa è migliore dell’assenza di correlazione perché può compensare il rischio anziché diluirlo.

Figura 3: Correlazione tra i rendimenti dei Treasury USA e l’Option Adjusted Spread (OAS) dei titoli investment-grade

Fonti: Bloomberg, Western Asset. Al 1° giugno 2023. S&P Indice S&P 500 Total Return Index e Indice S&P Treasury Bond Current 10-Year. Dati settimanali, ultime 26 settimane. Gli indici non sono gestiti e non è possibile investire direttamente in un indice. Non tengono conto di commissioni, spese o oneri di vendita. I rendimenti passati non sono indicazione o garanzia di risultati futuri.

Inoltre, spostandosi dalle obbligazioni alla liquidità, si consente una maggior concentrazione degli investimenti in azioni, con un potenziale aumento del rischio e una riduzione della performance corretta per il rischio. Questa relazione è spesso quantificata attraverso varie misure corrette per il rischio, come ad esempio gli indici Sharpe o Calmar. Ma a offrire una delle prove più convincenti è forse la performance storica durante le recessioni. La Figura 4 rappresenta le ultime cinque recessioni statunitensi e dimostra l’importanza delle obbligazioni sia come compensazione del rischio azionario sia come fonte significativa di rendimento rispetto alla liquidità; il rendimento medio cumulativo delle obbligazioni doppia nuovamente il rendimento della liquidità.

Figura 4: Performance durante le recessioni: azioni, obbligazioni e liquidità

Fonti: Bloomberg, US Treasury, Western Asset. Al 31 luglio 2020. Gli indici non sono gestiti e non è possibile investire direttamente in un indice. Non tengono conto di commissioni, spese o oneri di vendita. I rendimenti passati non sono indicazione o garanzia di risultati futuri.

L’ultima e forse più ovvia considerazione per gli investitori riguarda la direzione da seguire, ovvero il rischio di reinvestimento. In generale, gli investitori in obbligazioni a più lunga scadenza richiedono una compensazione per vari rischi, quali le aspettative di inflazione, l’incertezza dei tassi di interesse e i fattori economici. Gli investitori hanno due opzioni: possono acquistare obbligazioni a tasso fisso a più lunga scadenza o incorporare strumenti equivalenti alla liquidità (come buoni del tesoro, CD, prodotti monetari e via dicendo). Nel mercato attuale, i tassi reali, le curve a termine e talvolta i modelli di premio a termine indicano un vantaggio nel possedere obbligazioni rispetto agli strumenti liquidi equivalenti, specialmente quando la Fed raggiunge i tassi terminali. Inoltre, le aspettative di riduzione dei tassi di riferimento derivanti da fattori economici sono rafforzate dalle passate azioni della Fed. Storicamente, la Fed ha diminuito i tassi di circa 100 punti base (pb) entro un anno dalla conclusione di un ciclo di rialzo dei tassi, e di circa 200 pb all’avvio del primo taglio (media degli ultimi sei cicli di rialzo dei tassi).4 La Figura 5 illustra la curva a termine per i tassi dei Treasury statunitensi (UST) a 30 anni rispetto alle stime per il tasso sui fed funds contenute nel Summary of Economic Projections (SEP) della Fed del dicembre 2023. Se le stime attuali troveranno conferma, probabilmente emergerà ancora una volta un chiaro vincitore nella sfida del reinvestimento.

Figura 5: Curva forward dei tassi UST a 30 anni rispetto alle stime del tasso sui Fed Funds

Fonte: Bloomberg, Federal Reserve. Al 13 dicembre 2023.

Noi di Western Asset restiamo convinti che il processo disinflazionistico non lineare proseguirà il suo cammino discendente verso l’obiettivo di inflazione del 2% fissato dalla Fed. Come spiega John Bellows, gestore di portafoglio presso Western Asset, nel nostro ultimo aggiornamento sulle politiche della Fed, È necessario che i tassi della Fed siano così elevati?, non crediamo che i tassi ufficiali debbano rimanere elevati per essere considerati restrittivi. Ma soprattutto, la motivazione alla base dei livelli attuali non potrebbe più essere valida. Gli ultimi dati rilevati su inflazione e crescita giustificano una politica più neutrale, ma sappiamo che esistono diversi operatori di mercato con aspettative molto diversificate sui tassi di interesse. Indipendentemente dall’entità o dalla tempistica dell’allentamento delle politiche, riteniamo che le obbligazioni possano realmente offrire interessanti rendimenti corretti per il rischio, fungere da valido diversificatore e sovraperformare gli investimenti in liquidità.



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