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La crescita statunitense sta rallentando. Tuttavia, per valutare sia la perdita di slancio sia le sue implicazioni politiche, è importante analizzare attentamente il mix di dati nuovi e rivisti.

I dati sull’occupazione passata hanno appena subito una significativa revisione al ribasso: tra aprile 2024 e marzo 2025 sono stati creati circa 900.000 posti di lavoro in meno. Le buste paga non agricole avevano indicato un aumento di circa 1,8 milioni, quindi questa revisione indica che la crescita dei posti di lavoro è stata solo la metà di quanto da noi ipotizzato.

I dati sull’occupazione sono soggetti a frequenti revisioni su base mensile, poiché una quota crescente di risposte all’indagine NFP viene inviata in ritardo - la quota di imprese che non risponde in tempo è raddoppiata dal 20% al 40% negli ultimi 10 anni. È quanto accaduto con i dati di maggio e giugno. Questa’ultima revisione, tuttavia, è diversa: avviene una volta all’anno e si basa su un set separato di dati: il Quarterly Census of Employment and Wages (QCEW). A differenza dei sondaggi, il QCEW utilizza dati reali dai programmi di assicurazione contro la disoccupazione e offre un quadro più completo e accurato, coprendo quasi la totalità dei posti di lavoro negli Stati Uniti. Il QCEW è un indicatore più lento, ma molto più completo e accurato, quindi una volta all’anno il Bureau of Labor Statistics rivede i dati sull’occupazione per allinearli maggiormente ai suoi risultati, nella cosiddetta “revisione del benchmark”.

Quest’ultima revisione è la più consistente dal 2008 e supera quelle del 2009 e dell’anno scorso, che erano entrambe negative per oltre 800.000 unità. Dal 2008, la revisione media annuale è stata di poco superiore a 300.000 unità (in termini assoluti). Negli ultimi quattro anni, tuttavia, la media è salita a oltre 600.000 unità, a riprova del progressivo deterioramento della qualità dei sondaggi NFP.

Dati occupazionali: Revisioni preliminari del benchmark

2008–2025

Fonti: BLS, Bloomberg. Analisi a cura di Franklin Templeton Fixed Income Research. Al 10 settembre 2025.

Per alcuni aspetti molto importanti, tuttavia, questa revisione dei dati sull’occupazione non modifica in modo significativo il quadro macroeconomico.

A mio avviso, la valutazione secondo cui il mercato del lavoro è sostanzialmente in equilibrio, o vicino alla piena occupazione, non dovrebbe cambiare. La crescita dei salari continua a mantenersi a un tasso sano e superiore all’inflazione, pari al 4%. Una domanda di lavoro notevolmente più debole rispetto all’offerta si sarebbe infatti tradotta in una crescita dei salari inferiore.

Dal momento che i dati concreti sulla crescita economica, come i profitti delle aziende e le entrate fiscali, non sono cambiati, la valutazione complessiva sullo stato di salute dell’economia non dovrebbe subire un drastico mutamento. La crescita volatile dell’ultimo anno circa è ancora presente, ma ora si presenta in linea con un livello di occupazione più basso.

Ne derivano due conseguenze inattese:

  • In primo luogo, l’impatto negativo sulla crescita occupazionale derivante da dazi e incertezza commerciale appare molto più ridotto di quanto pensassimo. La valutazione tiene conto della crescita occupazionale, già molto debole, registrata nei 12 mesi antecedenti l’annuncio dei dazi di aprile.
  • In secondo luogo, la crescita della produttività deve essere più robusta, se il medesimo aumento dell’attività economica è stato raggiunto con un minor numero di lavoratori aggiuntivi.
     

Entrambe le conclusioni devono essere accolte con una certa prudenza, dato che questa revisione è solo preliminare e sarà aggiornata il prossimo febbraio. Tuttavia, se i dati dovessero essere confermati, quali sarebbero le implicazioni per il futuro? L’incertezza sui dazi permane e una parte dell’impatto negativo si manifesterà solo in seguito, scoraggiando chiaramente le assunzioni. Ciononostante, il fatto che l’impatto negativo sull’occupazione sia stato finora meno marcato del previsto potrebbe contribuire a mitigare le preoccupazioni. Inoltre, una crescita della produttività più solida farebbe ben sperare per la crescita a lungo termine e avvalorerebbe la tesi di un tasso di interesse naturale superiore a quanto ammesso dalla Federal Reserve (Fed).

La crescita dell’occupazione rallenta, mentre la produttività del lavoro aumenta in modo costante

1996–2025

Fonti: BEA, BLS, Macrobond. Analisi a cura di Franklin Templeton Fixed Income Research. Al 10 settembre 2025. PIL è l’acronimo di prodotto interno lordo.

Jerome Powell, il presidente della Fed, aveva già espresso preoccupazione per i segnali di rallentamento nella crescita occupazionale, evidenziando come un equilibrio del mercato del lavoro con un basso tasso di assunzioni comporti maggiori rischi al ribasso. Considerato anche il recente incremento delle richieste di sussidi di disoccupazione, questa revisione dei dati rafforza la probabilità di un taglio dei tassi di 25 punti base (pb) quando la Fed si riunirà la prossima settimana. Non mi aspetto un taglio di 50 pb, dato che l’inflazione di agosto è risultata superiore alle attese, con la componente core al 3,1% e la componente headline al 2,9% (in aumento rispetto al 2,7% di luglio).

Eventuali nuovi tagli nel 2025 dipenderanno soprattutto da quanto peggiorerà il mercato del lavoro nei prossimi mesi. L’incertezza è elevata, ma un ulteriore taglio di 25 pb ora sembra più probabile, soprattutto se confermato nel prossimo aggiornamento delle proiezioni della Fed note come “dot plot”. A mio avviso, tuttavia, la reazione attuale del mercato agli ultimi dati, con i rendimenti dei Treasury a 10 anni che sfiorano livelli inferiori al 4%, è eccessiva e segnala un ottimismo esagerato sui futuri tagli dei tassi. Resto convinta che siamo tornati in un’era caratterizzata da tassi neutrali dei fed funds più elevati e rendimenti obbligazionari a lungo termine più alti.



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