CIO VIEWS
CONTRIBUTORI

Sonal Desai, Ph.D.
Chief Investment Officer,
Portfolio Manager
Replica del webinar. Contenuto inglese.
L’invasione russa in Ucraina, che ha un tragico costo umano, rappresenta probabilmente un punto di svolta sul fronte dell’ordine geopolitico ed economico globale. Sul conflitto si è detto e scritto molto. In questo documento vorrei focalizzarmi su due importanti questioni economiche: la prima riguarda le implicazioni per lo status del dollaro USA come valuta di riserva dominante e la seconda le conseguenze per le tempistiche della transizione energetica.
Le sanzioni finanziarie avranno un effetto boomerang e accelereranno l’abbandono del dollaro, che verrebbe quindi scalzato dalla posizione di importate valuta di riserva globale? Il congelamento delle riserve in valuta estera della Russia è stato definitivo la bomba nucleare delle sanzioni finanziarie: Mosca si sarebbe infatti vista sottrarre il 60% delle riserve in valuta estera. Tale mossa inaspettata, tuttavia, ha spinto diversi Paesi a chiedersi se in futuro potrebbe toccare loro la stessa sorte, anche in caso di violazioni meno gravi.
Secondo alcuni commentatori, tale sviluppo potrebbe indurre alcuni Paesi a diversificare le riserve a scapito del dollaro USA, che perderebbe lo status di prima valuta di riserva globale. Il renminbi cinese è considerato il principale beneficiario di tale scenario e il potenziale successore del biglietto verde.
In realtà, al momento non esistono alternative all’USD. Il primato del dollaro si basa su diversi pilastri, tra cui: (1) il peso degli Stati Uniti nell’economia globale; (2) la solidità di politiche macroeconomiche e istituzioni nazionali; e (3) le dimensioni, la liquidità e la trasparenza del mercato degli asset sicuri denominati in USD.
L’economia cinese ha riportato una crescita sostanziale in termini di dimensioni e solidità, ma la valuta non è scambiabile liberamente e il tasso di cambio è gestito dalle autorità monetarie di Pechino. La Cina impone una serie di restrizioni sugli investimenti in asset denominati in renminbi. L’aumento delle transazioni internazionali denominate e regolate in renminbi riflette più gli accordi bilaterali che l’accettazione universale della valuta come mezzo di scambio.
Per sostituirsi agli Stati Uniti come emittente della valuta mondiale, la Cina dovrebbe rendere il renminbi completamente convertibile, e di conseguenza liberalizzare maggiormente i sistemi finanziari e l’economia del Paese. Invece, negli ultimi anni le autorità hanno rafforzato il controllo sull’economia.
I Diritti Speciali di Prelievo (DSP) del Fondo Monetario Internazionale (FMI) potrebbero rappresentare un’alternativa. Ma, come fa notare il FMI stesso, i DSP non sono una valuta: sono piuttosto “un credito potenziale sulle monete utilizzabili liberamente dei membri del Fondo Monetario Internazionale”. I DSP sono un’unità di conto il cui valore è ricavato da un paniere di valute, che comprende il dollaro statunitense (42% circa), l’euro (31%), la sterlina britannica (8%), lo yen giapponese (8%) e il renminbi cinese (11%). I Paesi non possono utilizzare un DSP per finanziare le importazioni. I DPS consistono principalmente di riserve in USD ed EUR: guardando alle ponderazioni, infatti, Stati Uniti ed Europa detengono un “blocco di maggioranza” anche per quanto riguarda i DPS. Come dicevamo, i DPS non sono una valuta, ma un’unità di conto. E di conseguenza non possono neppure essere considerati una valuta di riserva.
Alcuni Paesi potrebbero non essere propensi a detenere una quota sostanziale delle proprie riserve in valuta estera in dollari USA. Per il momento, comunque, non esistono alternative.
Potremmo assistere a una nuova battuta d’arresto della globalizzazione, che questa volta riguarda il settore finanziario. La globalizzazione degli scambi commerciali è già stata interrotta da barriere protezioniste, accordi bilaterali e un maggiore desiderio di autosufficienza in termini di capacità manifatturiera. Il sistema finanziario globale potrebbe tornare a frammentarsi, a fronte dell’intenzione di alcuni Paesi di ridurre la dipendenza dall’USD e dal sistema di pagamento SWIFT, che potrebbe spingerli verso il concorrente cinese, il Cross-Border Interbank Payment System (CIPS).
Quale impatto dobbiamo aspettarci per le politiche energetiche? Gli Stati Uniti e il Regno Unito hanno annunciato il divieto delle importazioni di petrolio dalla Russia, che rappresentano circa l’8% delle importazioni di petrolio totali in tali Paesi. L’Europa, che importa circa il 45% del gas totale dalla Russia (40% del consumo di gas totale dell’Unione Europea [UE])1, punta a una riduzione di due terzi nel corso del 2022. Occorre notare che circa due terzi dei consumi di gas in Germania dipendono dalla Russia.
I prezzi del petrolio, nonché della benzina, sono saliti in tutto il mondo. I governi occidentali stanno facendo il possibile per limitare l’impatto su consumatori e aziende. Alcuni politici statunitensi chiedono la sospensione della tassa federale sul carburante; l’UE sta invece valutando l’introduzione di misure di sostegno fiscale a livello nazionale e comunitario.
Sarebbe opportuno disporre di più fonti di energie rinnovabili, e il piano europeo prevede l’accelerazione del ricorso a energia eolica e solare. Tutto ciò non sarà però sufficiente, almeno in assenza di importanti progressi tecnologici, anche sul fronte dello stoccaggio di energia. Di conseguenza, alcuni Paesi occidentali potrebbero rivalutare nucleare e combustibili fossili.
All’inizio dell'anno, la Commissione europea ha approvato una proposta per la classificazione di piani per l’energia nucleare e il gas come “green”. Nel Regno Unito, alcuni ministri hanno proposto la reintroduzione del fracking. Nell’Europa continentale, che detiene grandi riserve di gas di scisto, l’opposizione al fracking potrebbe indebolirsi qualora i prezzi dell’energia rimanessero su livelli elevati. L’amministrazione USA conferma l’opposizione all’aumento della produzione interna di petrolio e gas, ma fa pressione su altri Paesi esportatori di petrolio affinché aumentino la produzione; qualora i prezzi elevati del petrolio continuassero a pesare su famiglie e aziende, tuttavia, tale assetto potrebbe costare il sostegno degli elettori. Pur mantenendo l’impegno per le rinnovabili, i governi occidentali devono affrontare scelte difficili in merito alle strategie di transizione energetica.
L’invasione russa in Ucraina rappresenta un ulteriore step nell’abbandono della globalizzazione e costringe le autorità a guardare in faccia la realtà: le problematiche lungo le filiere persistono, l’inflazione è in continuo aumento e la transizione energetica comporterà dei compromessi difficili. Dopo oltre un decennio di politiche monetarie estremamente accomodanti, non è più possibile avvalersi dell'espansione fiscale e monetaria per contrastare gli shock; infatti, il progressivo abbandono di politiche macroeconomiche solide potrebbe prima o poi far vacillare la posizione dominante del dollaro a livello mondiale.
- Fonte: Agenzia Internazionale per l’Energia, “How Europe can cut natural gas imports from Russia significantly within a year,” 3 marzo 2022.
Quali sono i rischi?
Tutti gli investimenti comportano rischi, inclusa la possibile perdita del capitale. Il valore degli investimenti può subire rialzi e ribassi, pertanto gli investitori potrebbero non recuperare l’intero ammontare del proprio investimento. Agli investimenti in titoli esteri sono associati rischi particolari, inclusi rischi legati a sviluppi politici ed economici, pratiche di trading, disponibilità delle informazioni, fluttuazioni di tassi di cambio valute e mercati e politiche limitate. Gli investimenti nei mercati emergenti, di cui i mercati di frontiera costituiscono un sottogruppo, comportano rischi più elevati legati agli stessi fattori, oltre a quelli associati in questi mercati alle dimensioni ridotte, alla minore liquidità e alla mancanza di un quadro giuridico, politico, economico e sociale consolidato a sostegno dei mercati mobiliari. I rischi associati ai mercati emergenti sono generalmente amplificati nei mercati di frontiera poiché gli elementi summenzionati (oltre a vari fattori quali la maggiore probabilità di estrema volatilità dei prezzi, illiquidità, barriere commerciali e controlli dei cambi) sono di norma meno sviluppati nei mercati di frontiera. Nella misura in cui una strategia si concentra di volta in volta su particolari Paesi, regioni, industrie, settori o tipi di investimento, può essere soggetta a un rischio più elevato di sviluppi negativi in tali aree di focalizzazione rispetto a una strategia che investe in una gamma più ampia di Paesi, regioni, industrie, settori o investimenti.
