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Elementi chiave da ricordare

  • I tre principali rischi economici dell’invasione russa dell’Ucraina sono l’aumento dei prezzi globali dell’energia, ulteriori interruzioni delle catene di approvvigionamento e un rallentamento dell’economia europea.
  • I consumatori statunitensi sono oggi maggiormente in grado di affrontare un rincaro dell’energia rispetto a 10 anni fa; ciò significa che i consumi e la crescita economica dovrebbero dare prova di migliore tenuta che in passato a fronte di un’analoga impennata dei prezzi dell’energia.
  • Anche se una decelerazione dell’economia europea sarebbe un fattore d’ostacolo per la crescita degli Stati Uniti, l’espansione sta rallentando da livelli elevati e i rischi di recessione rimangono bassi, come illustrato da un segnale verde complessivo nel ClearBridge Recession Risk Dashboard.

Le turbolenze di mercato provocate dai conflitti militari sono in genere di breve durata

Dopo mesi di tensione ed escalation costante, la scorsa settimana la Russia ha invaso l’Ucraina. Mentre alcuni investitori temono che l’interruzione dei commerci influenzi le prospettive di crescita interna, né l’Ucraina né la Russia sono partner commerciali particolarmente importanti degli Stati Uniti; il commercio lordo complessivo (esportazioni + importazioni) con i due paesi rappresenta infatti lo 0,15% del prodotto interno lordo (PIL) del 2019.1 Tuttavia, questo non significa che le vulnerabilità siano trascurabili. Il rischio per l’economia può giungere da tre meccanismi di trasmissione principali: l’aumento dei prezzi globali dell’energia, ulteriori interruzioni delle catene di approvvigionamento e un rallentamento dell’economia europea dovuto ai legami economici più stretti con la Russia, per effetto dei quali la regione sarebbe maggiormente penalizzata dalle sanzioni.

Rischio dovuto all’aumento dei prezzi globali dell’energia

Le quotazioni petrolifere continuano a salire poiché la domanda in ripresa supera l’offerta dopo un periodo di sottoinvestimento della capacità produttiva, che impedisce di espandere facilmente l’estrazione di greggio. Un accordo con l’Iran potrebbe essere d’aiuto nel breve termine, ma è probabile che i prezzi continuino a incorporare un premio al rischio geopolitico. I corsi del greggio statunitense hanno superato i 100 dollari al barile, un livello toccato l’ultima volta nel 2011-2014.2 Questo aumento, insieme al gas che scambia a circa 3,60 dollari al gallone3, ha suscitato molte preoccupazioni riguardo al potenziale impatto sui consumi interni.

La buona notizia è che la quota della spesa energetica sul totale dei consumi della maggior parte dei cittadini statunitensi è in diminuzione da decenni. Anche se tale quota potrebbe salire nel prossimo trimestre sulla scia dei prezzi più elevati, l’impatto dei rincari del greggio è diminuito nel tempo grazie ai guadagni di efficienza e all’aumento dei redditi. In parole povere, i consumatori sono oggi maggiormente in grado di affrontare un rialzo dei prezzi dell’energia rispetto a 10 anni fa; questo significa che i consumi e la crescita economica dovrebbero dare prova di migliore tenuta che in passato.

Figura 1: Quota della spesa energetica sul totale dei consumi

Dati al 31 dicembre 2021. Fonte: U.S. Bureau of Economic Analysis (BEA), Bloomberg.

Possibili interruzioni delle catene di approvvigionamento

Il secondo canale principale attraverso cui la guerra può incidere sull’economia statunitense è tramite ulteriori interruzioni delle catene di approvvigionamento. L’Ucraina e la Russia sono fornitori chiave di molti metalli industriali e di altri materiali come il neon, che è usato nella fabbricazione di semiconduttori. La Russia è anche uno dei principali esportatori di palladio, usato nei convertitori catalitici. Le interruzioni di entrambe queste catene di approvvigionamento avrebbero probabilmente impatti a valle sul mercato dell’auto, già in affanno.

Le ricadute saranno molto probabilmente visibili nell’indicatore delle materie prime del ClearBridge Recession Risk Dashboard, che questo mese mantiene un segnale verde complessivo nonostante la debolezza registrata sotto la superficie. Questo deterioramento è stato causato soprattutto dal calo del 50% dei prezzi dell’acciaio da metà ottobre4, insieme a prodotti chimici più soft. Anche se Ucraina e Russia producono entrambe acciaio, il rallentamento dei prezzi negli ultimi mesi è imputabile principalmente alla Cina. È importante notare che le autorità cinesi hanno orchestrato una completa inversione di rotta, adottando una orientamento politico complessivamente espansivo. Con le materie prime che rimangono per il momento in verde, questo mese non vi sono state variazioni di segnale nel dashboard.

Figura 2: ClearBridge Recession Risk Dashboard

Fonte: ClearBridge Investments. 

Rallentamento economico in Europa

L’ultimo canale principale attraverso cui la crisi può danneggiare l’economia statunitense è costituito dalle prospettive di un rallentamento o persino di una recessione in Europa. Il Vecchio Continente ha infatti legami economici molto più stretti con la Russa (il suo quinto partner commerciale sia per le esportazioni che per le importazioni).5 Di conseguenza, è probabile che le sanzioni economiche siano più penalizzanti per l’Europa. Inoltre, dato che l’energia rappresenta la maggiore voce dell’import, dopo l’invasione i prezzi del gas naturale in Europa hanno subito un’impennata da livelli già elevati, gravando ulteriormente sui consumatori. L’Europa e il Regno Unito hanno rapporti commerciali più importanti con gli Stati Uniti, dato che il commercio lordo (importazioni + esportazioni) tra il Regno Unito e i paesi dell’UE a 27, da un lato, e gli Stati Uniti, dall’altro, rappresenta il 5,5% circa del PIL USA del 2019*.6

Anche se un rallentamento europeo sarebbe un fattore d’ostacolo per la crescita interna, di cui è già attesa una decelerazione nel 2022, è importante ricordare che l’espansione sta rallentando da livelli elevati. Il PIL degli Stati Uniti è aumentato del 5,6% nel 2021 (e anche di più includendo l’inflazione), evidenziando la crescita più rapida dal 1984. Le aspettative di consenso sul PIL si collocano attualmente al 3,7% per il 2022, prefigurando la crescita più rapida dal 2004 (escluso l’anno scorso). Non dimentichiamo, peraltro, che l’Europa ha vissuto una recessione nel 2012 in concomitanza con la crisi del debito sovrano. Questa battuta d’arresto non ha causato una recessione negli Stati Uniti, anche se la crescita economica interna all’epoca era molto più lenta, ad appena l’1,5%.7 A causa degli alti livelli di consumo e di un ampio disavanzo delle partite correnti, sono gli Stati Uniti di solito a trainare il mondo in una recessione, e non il contrario.

Figura 3: Esposizione commerciale a Russia e Ucraina

*Il PIL con l’aggiunta delle importazioni per favorire un confronto alla pari con il commercio lordo (esportazioni + importazioni). Fonte: Rappresentante per il Commercio degli Stati Uniti d’America, BEA, Bloomberg.

Dato che le conseguenze economiche per gli Stati Uniti saranno probabilmente alquanto contenute, ci si domanda quali potrebbero essere le implicazioni per la traiettoria della politica della Fed. I futures sui Fed Funds hanno evidenziato un andamento volatile in linea con i mercati azionari, ma attualmente scontano 1,1 rialzi a marzo e 5,4 in totale nel 2022. Si tratta di un numero inferiore a quello previsto prima dell’invasione, ma nelle ultime settimane si era già affermata la tendenza a considerare meno probabile un aumento dei tassi di 50 pb a marzo e a prevedere un minor numero di interventi complessivi nel 2022. Da quando è iniziata l’invasione, diversi governatori e presidenti regionali della Fed hanno dichiarato l’intenzione di monitorare la situazione in Ucraina ma di proseguire per il momento con i piani che prevedono un primo aumento dei tassi alla riunione di marzo.

Politica monetaria a parte, la storia dimostra che le turbolenze sui mercati indotte dai conflitti geopolitici hanno di solito breve durata. In passato l’S&P 500 Index ha registrato in media un calo del 6% su un tre settimane in corrispondenza di importanti eventi geopolitici, per poi tornare sui livelli precedenti nelle tre settimane successive. Una volta raggiunto un minimo, i mercati azionari hanno evidenziato un buon andamento, guadagnando successivamente il 6,5% nei primi tre mesi e il 13% nel primo anno.8 Se consideriamo le ultime cinque grandi guerre (Vietnam, Guerra del Golfo, Afghanistan, Iraq e Crimea), è interessante notare che il mercato ha in realtà toccato il fondo prima dell’invasione.9 Anche se resta da vedere come si svolgeranno gli eventi – e noi tutti speriamo in una risoluzione rapida e pacifica del conflitto – la risposta iniziale del mercato azionario non sembra discostarsi molto dalle tendenze del passato.

*Il PIL con l’aggiunta delle importazioni per favorire un confronto alla pari con il commercio lordo (esportazioni + importazioni).



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