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I rendimenti dei Treasury USA (UST) continuano a salire, sfidando i dati economici e le nostre stesse aspettative. Cosa si nasconde dietro l’ultima mossa?

La recente impennata dei rendimenti degli UST dall’inizio di agosto può essere attribuita a diversi fattori, tra cui le dichiarazioni aggressive della Federal Reserve (Fed), un “dot plot” inaspettatamente restrittivo e le interpretazioni correnti sugli sviluppi di mercato, di cui abbiamo parlato in un recente blog. A complicare il mercato degli UST si aggiunge quello che noi definiamo l’“immobilismo dei compratori” che in questo contesto deriva dalla diffidenza dei potenziali acquirenti nell’entrare nel mercato degli UST, in attesa di osservare una maggiore stabilità dei tassi d’interesse statunitensi. A tale gruppo di compratori appartengono gli investitori che detengono già posizioni in perdita, gli investitori con leva finanziaria sempre più orientati alla cautela e gli investitori potenziali che desiderano investire ma adottano un approccio attendista. Il ragionamento prevalente sembra essere il seguente: “Perdere i primi 10 o 20 punti base di un rally è accettabile - tanto i rendimenti possono crescere ancora rispetto a quando è cominciato a considerare l’acquisto”.

Figura 1: L’impennata dei rendimenti dei Treasury USA di lungo periodo

Fonte: Bloomberg. Al 3 ottobre 2023. 

Riteniamo che questa indifferenza nei confronti della duration USA sia un po’ ingiustificata. I prezzi di mercato hanno raggiunto livelli estremi; attualmente i tassi forward a lungo termine si posizionano 150 punti base (pb) al di sopra del tasso neutrale stimato dalla Fed. Inoltre, i tassi reali di lungo periodo si attestano intorno ai 250 punti base, significativamente più in alto rispetto ai livelli pre-pandemici prossimi allo zero. È difficile stabilire se il sentiment di mercato influenza le dinamiche reali o accade invece il contrario, tuttavia le Figure 2 e 3 illustrano che qualsiasi correzione dell’attuale prezzo del mercato nel segmento lungo della curva degli UST potrebbe avere un impatto fortemente positivo sulle obbligazioni.

Figura 2: Il rendimento reale degli UST a 10 anni è tornato ai livelli precedenti la crisi finanziaria globale

Fonte: Bloomberg. Al 4 ottobre 2023.

Figura 3: I tassi di mercato a lungo termine sono sensibilmente più elevati rispetto alle stime del Federal Open Market Committee

Fonte: Bloomberg. Al 29 settembre 2023. 

Altri fattori che contribuiscono all’aumento dei rendimenti degli UST a lungo termine sono i seguenti:

  • La “singolarità” della crescita statunitense: All’inizio del 2023, si percepiva un diffuso timore di incombente recessione. Ad acuire tale stato d’animo hanno contribuito, nel primo trimestre, la crisi delle banche regionali statunitensi e l’incertezza sul tetto del debito. Tuttavia, il sentiment del mercato ha segnato una brusca inversione di rotta e i prezzi hanno iniziato a riflettere le aspettative di una crescita continua nel prossimo futuro. A nostro giudizio, questo ritrovato ottimismo non trova conferma nei recenti progressi dell’inflazione, scesa dal 5%-6% dello scorso anno all’attuale 2,5%-3%.1 Prevediamo che questa tendenza persisterà, soprattutto in presenza di segnali di rallentamento del mercato immobiliare e dell’occupazione.

Inoltre, varie sfide minacciano le prospettive di crescita economica degli Stati Uniti. I consumatori appaiono sfiduciati, avendo attinto ai risparmi mentre i redditi non si sono adeguati e le condizioni finanziarie continuano a inasprirsi. Inoltre, la Fed adotta una politica fortemente restrittiva, ossia un tasso sui fed funds al 5,5% e tassi reali superiori al 2%.2 Anche se la Fed decidesse di innalzare i tassi di altri 25 punti base nel corso dell’anno, non rileveremmo un impatto significativo. La politica monetaria è già piuttosto stringente.

  • L’offerta massiccia di UST: La pressione sui rendimenti degli UST a lungo termine è iniziata ad inizio agosto, quando il Tesoro statunitense ha annunciato a sorpresa un’emissione di cedole maggiore e anticipata rispetto a quanto inizialmente previsto dal mercato. Ora si teme il ricorso crescente all’emissione di UST per coprire un deficit in aumento. Osserviamo che l’aumento delle spese causato dall’Inflation Reduction Act, insieme alla cancellazione dei prestiti studenteschi e all’assenza di entrate da imposte sulle plusvalenze, hanno aumentato il deficit e di conseguenza il livello di emissione dei Treasury. L’anno prossimo, tuttavia, tutti e tre questi fattori dovrebbero attenuarsi sensibilmente, come illustrato nella Figura 4.

Figura 4: Deficit del bilancio federale (ultimi 12 mesi, percentuale del prodotto interno lordo)

Fonti: S&P Global Market Intelligence, US Treasury, Haver Analytics. Al 31 agosto 2023. Non vi è alcuna garanzia che un’eventuale stima, proiezione o previsione si realizzi.

  • Il fattore geopolitico: Nel corso degli anni, i risparmi globali sono confluiti negli Stati Uniti grazie allo status di riserva mondiale vantato dal dollaro USA (USD). Il quadro attuale, tuttavia, sembra indicare un’inversione di questi flussi, poiché i paesi cercano di ridurre la loro dipendenza dal biglietto verde, di diversificare le riserve, di eludere le sanzioni statunitensi o di assumere una posizione geopolitica contro gli Stati Uniti. È importante ricordare che gli attributi chiave ricercati in una valuta di riserva sono la forza economica, la stabilità, la prevedibilità delle politiche, la solidità della governance e la maturità finanziaria (cioè mercati dei capitali maturi, liquidi, trasparenti e aperti). Gli Stati Uniti eccellono in tutte queste aree rispetto al resto del mondo, il che indica che la de-dollarizzazione ovvero un netto sganciamento dagli asset statunitensi (ad esempio, UST, obbligazioni di agenzie e corporate) è ancora molto lontano.
  • Un ampio spettro di fattori: A incidere, meno pesantemente (per ora), vi sono poi le vendite legate alla convessità nel mercato dei titoli MBS, il costo legato alla transizione dal carbonio, la de-globalizzazione, l’impatto dei rendimenti più elevati in altre aree del mondo che riducono la domanda estera di UST e il possibile declassamento del rating creditizio degli Stati Uniti da parte di Moody’s. Per quanto riguarda quest’ultimo fattore, è utile ricordare che il declassamento di Fitch del 1° agosto 2023 ha generato una reazione di mercato contenuta, in quanto la notizia era già diventata di pubblico dominio nel maggio 2023 e S&P aveva già declassato gli Stati Uniti nell’agosto 2011.

 

Per concludere

Riteniamo che la svolta repentina del sentiment di mercato, dall’anticipazione di una recessione alla scommessa su una crescita prolungata e al prevalere di un’aspettativa di tassi “elevati per più tempo”, non sia in linea con l’attuale andamento dell’inflazione e con le varie sfide che attendono la crescita economica statunitense. Tra i vari fattori di rischio, citiamo la sfiducia dei consumatori, l’inasprimento delle condizioni finanziarie e la politica monetaria restrittiva. A nostro giudizio, sia la crescita che l’inflazione continueranno a ridursi e i funzionari della Fed terranno conto di tali sviluppi alla prossima riunione di novembre.



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