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Pubblicato inizialmente su LinkedIn, nella newsletter Global Market Perspectives di Stephen Dover. Segui Stephen Dover su LinkedIn, dove pubblica i suoi pensieri e commenti e la sua newsletter Global Market Perspectives.

Tutto è pronto per le elezioni presidenziali statunitensi del 2024, almeno per quanto riguarda i principali partiti. Il Presidente Joe Biden correrà per la rielezione, mentre l’ex Presidente Donald Trump sarà il suo sfidante. In molti liste elettorali a livello statale saranno presenti anche diversi candidati indipendenti (o “no label”) che, come insegna la storia delle elezioni statunitensi, a novembre potrebbero fare la differenza.

Il nostro obiettivo in questo articolo, tuttavia, non è quello di formulare pronostici su quale candidato probabilmente uscirà vittorioso, né su quale partito conquisterà la maggioranza dopo le elezioni al Senato o alla Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti. Ci proponiamo invece di offrire una sintesi delle principali differenze politiche tra i due partiti più importanti e di trarre conclusioni di massima sulle implicazioni dei diversi risultati elettorali per i mercati dei capitali quest’anno e nel prossimo.

Considerazioni preliminari

Per cominciare, notiamo che i due principali partiti presentano differenze politiche apparentemente evidenti, ma che nessuno dei candidati alla presidenza ha ancora formulato un programma politico ben definito. Questo processo raggiunge generalmente il suo culmine intorno ai rispettivi congressi di partito, ossia a luglio (per i Repubblicani) e ad agosto (per i Democratici). Ciononostante, è possibile evidenziare le probabili differenze, comprese quelle riportate nella Figura 1.

Figura 1: Le posizioni dei due candidati

Differenze politiche tra Donald Trump e Joe Biden

Fonte: Analisi a cura di Franklin Templeton Institute.

Che dire di un governo diviso?

Il potere presidenziale, tuttavia, è relativamente limitato nelle questioni legislative, a meno che la maggioranza di entrambe le camere del Congresso (cioè il Senato e la Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti) non sia detenuta dal partito del Presidente. Dal momento che negli ultimi anni la politica statunitense è diventata più ispirata a logiche di parte, il processo legislativo su varie questioni – tra cui la spesa per la difesa, gli altri impegni di spesa, l’imposizione fiscale e l’immigrazione – è stato ostacolato da un governo diviso. Di conseguenza, in molti casi i programmi politici possono essere annacquati in tutto o in parte se il partito del Presidente non ha la maggioranza al Senato e alla Camera.

C’è un’area, tuttavia, nella quale è probabile che si legiferi nel 2025, anche se dalle elezioni del 2024 dovesse emergere un governo diviso. Quest’area è la tassazione a livello federale.

Il motivo è che gran parte del Tax Cuts and Jobs Act (TCJA) del 2017, firmato dal Presidente Trump, giungerà automaticamente a scadenza alla fine del 2025. Se i legislatori non intervengono per tempo e il nuovo Presidente non promulga una nuova legge, le imposte per molti americani sono destinate ad aumentare, ed entrambi i partiti desiderano evitarlo.

In particolare, se il TCJA arriverà a scadenza alla fine del 2025 senza essere modificato, la maggior parte delle famiglie statunitensi si troverà alle prese con aliquote d’imposta marginali più elevate e minori deduzioni standard. Inoltre, la soglia di esenzione per l’imposta federale di successione sarà dimezzata a meno che non venga approvata una nuova legge il prossimo anno. Per contro, la maggior parte delle modifiche apportate alle imposte sulle società, a parte l’ammortamento anticipato, non “tramonterà” automaticamente nel 2025.

Come si è detto, gli esponenti di entrambi i partiti vorranno evitare di penalizzare molti americani con tasse più alte nel 2025. Pertanto, a prescindere dall’esito delle elezioni statunitensi del prossimo autunno, prevediamo che il Congresso e il futuro Presidente troveranno un modo per estendere una parte, se non la totalità, delle disposizioni della legge del 2017 almeno per una maggioranza dei contribuenti. I due partiti sembrano convenire sul fatto che i contribuenti con un reddito inferiore a circa 400.000 dollari non subiranno un aumento delle imposte.

Disavanzo di bilancio e tassi d’interesse

A meno che non si aumentino altre imposte, questo significa che l’onere della riduzione del disavanzo, se ci sarà, ricadrà sul contenimento della spesa. Tuttavia, senza meccanismi per riformare i principali programmi di spesa obbligatori di Social Security e Medicare, che riscuotono grande popolarità presso entrambi i partiti, sarà difficile a nostro avviso riuscire a ridurre il disavanzo. Questo perché la spesa obbligatoria, sommata agli interessi sul debito nazionale, rappresenta oltre il 70% della spesa complessiva del governo federale.1 Con il bilancio della difesa che costituisce la metà della spesa discrezionale residua, il Congresso e il Presidente avranno difficoltà a trovare voci da tagliare per abbattere il deficit.

Ciò non significa, tuttavia, che una crescita dei disavanzi di bilancio in percentuale del prodotto interno lordo (PIL) sia inevitabile. In realtà i deficit sono in calo da due anni e, in assenza di una recessione economica, il disavanzo federale è destinato a stabilizzarsi o persino a diminuire ancora leggermente rispetto al PIL.

Per questo motivo – considerando anche che il rallentamento dell’inflazione permetterà molto probabilmente alla Federal Reserve di ridurre i tassi d’interesse quest’anno e nel prossimo – è plausibile che i rendimenti dei Treasury USA diminuiscano indipendentemente da chi si insedia alla presidenza e da quale partito controlla il Congresso.

Implicazioni per i mercati dei capitali

Dal punto di vista della politica macroeconomica, fiscale o monetaria, quindi, è difficile pervenire alla conclusione che la scelta del Presidente degli Stati Uniti o un cambiamento di maggioranza al Congresso (ammesso che avvenga) avrà effetti rilevanti su variabili quali la crescita, gli utili aggregati o i tassi d’interesse, tutti fattori chiave che determinano i rendimenti sui mercati dei capitali.

Ciò non vuol dire, tuttavia, che i premi al rischio rimarranno contenuti. Un’elezione contestata, per non dire una crisi costituzionale, avrebbe probabilmente importanti implicazioni a breve, e forse a lungo termine, sulla valutazione del rischio paese degli Stati Uniti da parte degli investitori nazionali e internazionali. Anche la minaccia ricorrente di shutdown governativi e di un possibile default suscitata da un eventuale governo diviso nel 2025 si ripercuoterebbe negativamente sulla valutazione del rischio.

Tuttavia, nella misura in cui le elezioni influiscono sulle decisioni di investimento, è più probabile che questo si rifletta nei risultati a livello settoriale. Una vittoria schiacciante di Trump e dei Repubblicani, ad esempio, gioverebbe a molti settori oggi soggetti a una regolamentazione rigorosa, come la finanza, la sanità e l’energia (petrolio, carbone e gas). In alternativa, tra i beneficiari di una vittoria schiacciante di Biden e dei Democratici potrebbero figurare i settori dell’energia alternativa e delle infrastrutture.

Siamo dubbiosi che la performance associata ai passati risultati elettorali a Washington (cfr. Figura 2 in basso) possa fornire indicazioni utili agli investitori di oggi.

Figura 2: Performance del mercato azionario e cicli elettorali dal 1932

Rendimenti medi dell’S&P 500 con i diversi partiti al governo

Dal 1932

Fonti: Bloomberg, Indici S&P Dow Jones. Nota: I riferimenti ai periodi in carica dei governi sono tratti da History, Art & Archives of the United States. Dati a febbraio 2024. Gli indici non sono gestiti e non è possibile investire direttamente in un indice. Non tengono conto di commissioni, spese e oneri di vendita. I rendimenti passati non sono indicazione o garanzia di risultati futuri. 

Entrambi i partiti sono cambiati notevolmente rispetto anche solo a dieci anni fa, per non parlare di diversi decenni or sono. Una quota maggiore della base elettorale del Partito Repubblicano è oggi costituita da segmenti della popolazione appartenenti alla classe operaia, a basso reddito e poco istruiti, ossia da gruppi generalmente meno interessati alla deregulation, ai tagli delle imposte, al libero scambio o alle politiche monetarie e fiscali ortodosse rispetto al tipico elettore repubblicano che votava Eisenhower o Reagan. Il Partito Democratico gode oggi di un maggior sostegno da parte delle “élite” di laureati, tra cui esponenti del mondo dell’imprenditoria, della finanza e della tecnologia, ed è diventato più pluralista rispetto alle sue origini operaie negli anni ’30 o ’40. Di conseguenza, le sue politiche non sono più così contrarie agli interessi delle imprese come si credeva comunemente un tempo.

Inoltre, il livello attualmente elevato delle valutazioni azionarie (superiori alla norma di lungo periodo) e degli utili (superiori alle medie di lungo periodo) suggerisce che nei prossimi 5-10 anni i rendimenti complessivi offerti dal mercato azionario saranno probabilmente più bassi rispetto a quelli che hanno caratterizzato il primo quarto di secolo di questo millennio. Il partito o i partiti al potere, naturalmente, potrebbero peggiorare o magari migliorare la situazione, ma le prospettive di rendimenti azionari elevati e duraturi non sembrano molto favorevoli, a prescindere da chi vince.

Dalla nostra analisi dei tre anni precedenti la presidenza Trump, dei primi tre anni del mandato di Trump e dei primi tre anni del mandato di Biden, emergono alcune conclusioni fondamentali sul contesto attuale:

  1. Le valutazioni iniziali dei mercati azionari e obbligazionari sono più elevate.
  2. I tassi di interesse partono da un punto molto più alto.
  3. Le aspettative sugli utili sono più elevate, quelle sul PIL più ridotte.
  4. La fiducia dei consumatori è più bassa.

Cosa ci dice tutto questo riguardo alle prospettive per i mercati in vista delle elezioni di novembre? Se la storia insegna qualcosa, i rendimenti azionari negli anni elettorali sono sempre stati modesti (Figura 3). Questa previsione ci sembra ragionevole, sia perché l’esito delle elezioni è probabilmente in bilico, sia perché i mercati hanno registrato ottime performance negli ultimi 12 mesi. Crediamo che a un certo punto sia giustificato un consolidamento.

Figura 3: Mercati ed elezioni negli Stati Uniti

Performance del mercato azionario durante i cicli elettorali degli Stati Uniti: ciclo presidenziale di quattro anni e rendimenti totali medi annui dell’S&P 500
1990–2018

Nota: Anno post-elettorale = performance annuale un anno dopo le elezioni; metà mandato = performance annuale due anni prima delle elezioni; anno pre-elettorale = performance annuale un anno prima delle elezioni. Fonti: FactSet, S&P Global. Gli indici non sono gestiti e non è possibile investire direttamente in un indice. Non tengono conto di commissioni, spese e oneri di vendita. I rendimenti passati non sono indicazione o garanzia di risultati futuri.

Il mercato obbligazionario potrebbe evidenziare un andamento migliore, ma non tanto per le elezioni, quanto per la probabilità che il calo dell’inflazione e il rallentamento della crescita permettano alla Federal Reserve (Fed) di ridurre i tassi d’interesse a partire dalla metà del 2024. E – per rispondere anticipatamente alla domanda – no, non crediamo che la Fed sarà dissuasa dal prendere le opportune misure di politica monetaria a causa delle elezioni. La Fed è un’istituzione indipendente e farà ciò che ritiene coerente con il suo mandato.

Visto che potrebbe essere difficile trovare sostegno per misure politiche sostanziali alla luce del contesto attuale e delle mutevoli posizioni politiche di ciascun partito, crediamo che sarebbe più efficace concentrarsi sullo stato dei fondamentali nel punto del ciclo economico e degli investimenti in cui ci troviamo. La nostra ricerca rivela che l’obbligazionario appare particolarmente interessante adesso che le autorità monetarie cominciano ad abbandonare il loro orientamento restrittivo. Al tempo stesso, molte large cap al di fuori delle “Magnifiche Sette” (Alphabet, Amazon, Apple, Meta, Microsoft, NVIDIA e Tesla) presentano aspettative di utile superiori alla media del mercato e valutazioni a nostro avviso più interessanti. Se c’è un ambito nel quale valutare la possibilità di utilizzare i risultati elettorali quale criterio di selezione dei titoli, quello delle esposizioni settoriali potrebbe essere a nostro avviso il più promettente.  Continueremo a monitorare l’andamento di questo ciclo elettorale e a condividere le nostre riflessioni nel corso della sua evoluzione.



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