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Il risultato empirico centrale in discussione è la mia conclusione che le azioni monetarie influenzano le condizioni economiche solo dopo un lasso di tempo lungo e variabile"

Punti principali da ricordare

  • I fallimenti bancari di marzo hanno segnato il primo indicatore di ritardo del ciclo di inasprimento aggressivo della Federal Reserve (Fed). Rischi più ampi potrebbero concretizzarsi nel corso dell'anno, quando standard di prestito più severi ridurranno la disponibilità di credito, pesando sulla crescita del prodotto interno lordo (PIL).
  • L'anno scorso le banche più piccole sono state responsabili del 57% della crescita totale dei prestiti ed è previsto che ridurranno il credito  in misura maggiore rispetto alle banche più grandi. Ciò potrebbe ripercuotersi sulle piccole imprese loro clienti che si trovano già alle prese con diversi elementi sfavorevoli alla redditività.
  • La funzione di reazione della Fed è cambiata in risposta a un'inflazione generazionalmente elevata. Riteniamo che ciò si manifesterà in una risposta politica più attenuata e tardiva quando si verificherà una recessione. Ciò contribuisce in modo determinante alla nostra tesi secondo cui una potenziale recessione sarà più lunga e moderata rispetto alla previsione del consensus di una recessione “breve e di entità modesta”.

I primi indicatori di ritardo sono arrivati

Con l'attuale ciclo di inasprimento monetario in essere ormai da poco più di un anno, molti investitori sono rimasti stupiti dalla resilienza dell'economia statunitense di fronte a una serie così aggressiva di rialzi dei tassi e di irrigidimento quantitativo. Ad esempio, il mercato del lavoro ha aggiunto 815.000 posti di lavoro nei primi due mesi dell'anno (408.000 al mese): un'impennata rispetto al ritmo di 354.000 al mese della seconda metà del 2022. In effetti, le revisioni annuali dei dati sull'occupazione effettuate all'inizio di quest'anno mostrano un aumento cumulativo di 432.000 posti di lavoro negli ultimi sette mesi dell'anno, suggerendo un indebolimento del mercato del lavoro persino inferiore rispetto a quello percepito dagli investitori agli inizi del 2023.

Sebbene il mercato del lavoro sia notoriamente un indicatore di ritardo, il mese scorso sono emersi dal settore bancario i primi segnali che indicano che i ritardi della politica monetaria, notoriamente lunghi e variabili, potrebbero essere in arrivo. Quello che era iniziato come un problema isolato di una banca regionale è passato in pochi giorni a minacciare banche di importanza sistemica globale (G-SIB). Sebbene questo possa evocare i brutti ricordi della crisi finanziaria globale (CFG), la situazione odierna non ha nulla a che vedere con quel periodo.

Figura 1: il mercato del lavoro continua a essere robusto

Al 31 marzo 2023. Fonti: BLS, FactSet.

In primo luogo, le banche regionali statunitensi che si sono trovate in difficoltà presentano sfide specifiche, tra cui un elevato grado di concentrazione della clientela, quote eccessive di depositi non assicurati, una sovraesposizione a settori in difficoltà (tecnologia/cripto valute), un eccesso di asset detenuti fino a scadenza nei loro bilanci e una gestione inadeguata del rischio di duration su tali asset. Alcuni di questi problemi sono presenti in molte istituzioni e possono essere gestiti in modo corretto; la coesistenza di tutti questi problemi si verifica raramente e si è dimostrata impegnativa per coloro che si sono ritrtovati ad affrontarla.

In secondo luogo, negli ultimi anni la G-SIB che ha subito le pressioni maggiori (Credit Suisse) ha dovuto affrontare una serie di sfide e scandali ed era considerata la più debole tra gli istituti bancari europei più importanti. In effetti, nell'autunno del 2022 si diceva che Credit Suisse fosse prossimo al fallimento, nonostante il management avesse annunciato un piano di risanamento.

Da ultimo l'aspetto più importante è stato che i responsabili politici hanno agito in modo rapido ed efficiente di fronte alla crisi che si stava delineando, nel tentativo di arginare il contagio e ripristinare la fiducia nel settore bancario che, in ultima analisi, si basa sulla fiducia per operare. Anche se è troppo presto per dichiarare conclusa la crisi, le misure adottate finora sembrano stare funzionando.

Riteniamo che gli effetti principali delle recenti tensioni nel settore bancario si concretizzeranno nel corso dell'anno, quando l'inasprimento degli standard di prestito e l'aumento degli spread creditizi ridurranno la disponibilità (e aumenteranno il costo) del credito, pesando in ultima analisi sulla crescita del PIL. È probabile che questo ostacolo si verifichi in un momento in cui l'economia sta rallentando verso una recessione. Si tratta di una prospettiva supportata da dal "semaforo rosso" e dai segnali di una recessione provenienti dal ClearBridge Recession Risk Dashboard. Il Dashboard segna ora l'ottavo mese consecutivo ”a semaforo rosso”, senza variazioni per questo mese.

Figura 2: gli indicatori di ritardo sono arrivati

Al 31 marzo 2023. Fonte: BankRate, BLS e Bloomberg. Gli asset sono arrotondati al miliardo più vicino.

Figura 3: ClearBridge Recession Risk Dashboard

Dati al 31 marzo 2022. Fonte: BLS, Federal Reserve, Census Bureau, ISM, BEA, American Chemistry Council, American Trucking Association, Conference Board, e Bloomberg. Il ClearBridge Recession Risk Dashboard è stato creato nel gennaio 2016. I riferimenti ai segnali che avrebbe generato negli anni precedenti al gennaio 2016 si basano sul modo all’epoca utilizzato per riportare i dati sottostanti negli indicatori dei componenti.

Un modo per valutare gli standard di prestito è rappresentato dal Senior Loan Officer Opinion Survey (SLOOS) on Bank Lending Practices della Federal Reserve. Anche prima degli ultimi eventi, la percentuale netta di banche che hanno inasprito gli standard - aumentando gli spread, inasprendo le clausole, richiedendo maggiore collateralizzazione o riducendo le dimensioni delle linee di credito - su prestiti commerciali e industriali (C&I) alle grandi e medie imprese era del 44,8%, avvicinandosi a livelli coerenti con le ultime quattro recessioni statunitensi. Sul fronte dei consumatori, la disponibilità a concedere prestiti è scesa a -12,5% netto, un livello che ha preannunciato precedenti downturn economici. È importante notare che storicamente gli atterraggi morbidi sono stati accompagnati da condizioni di credito molto più accomodanti.

Figura 4: standard di prestito in via di ridimensionamento

Dati al 31 gennaio 2023, ultimi disponibili al 31 marzo 2023. Fonti: Federal Reserve System, FactSet.

Gli ultimi dati SLOOS sono antecedenti alle recenti turbolenze del settore bancario, il che significa, a nostro avviso, che le condizioni attuali sono probabilmente ancora peggiori. Questo vale in particolare per le banche di piccole e medie dimensioni, che sono state sotto pressione perché la FDIC può intraprendere determinate azioni solo in presenza di un rischio sistemico, che è meno probabile che rappresenti una minaccia con i fallimenti delle banche più piccole. Nel complesso, tuttavia, le banche più piccole svolgono un ruolo vitale per l'economia statunitense. Mentre le prime 25 banche rappresentano il 70% degli asset bancari totali, l’impatto delle restanti oltre 4.000 banche è decisamente superiore rispetto a quanto ci si potrebbe aspettare dal loro peso percentuale.

Le banche al di fuori delle prime 25 rappresentano solo il 30% degli asset totali del settore bancario, ma sono responsabili del 34% dei prestiti commerciali e industriali (C&I), del 38% dei finanziamenti ipotecari e di un sorprendente 70% dei finanziamenti per l’immobiliare commerciale (CRE). Alcuni di questi finanziamenti CRE sono in realtà prestiti a piccole imprese garantiti da immobili come collaterale di alta qualità. È importante notare che le piccole banche stanno aumentando i loro portafogli di prestiti più velocemente delle loro controparti di grandi dimensioni, rappresentando il 57% della crescita totale dei prestiti negli ultimi 12 mesi.

Riteniamo che il rallentamento dei prestiti da parte delle piccole banche si ripercuoterà in primo luogo sulle piccole imprese, ossia quelle con meno di 250 dipendenti. Queste infatti sono meno inclini ad avere rapporti con le banche più grandi e hanno un accesso limitato o nullo ai mercati dei capitali, a differenza delle imprese di maggiori dimensioni. Di conseguenza, è più probabile che risentano dell'inasprimento delle condizioni di credito, limitando la loro capacità di crescita e pesando sulla creazione di posti di lavoro - le piccole imprese rappresentano quasi il 90% delle offerte di lavoro in eccesso dall'inizio della pandemia - e sulla più ampia espansione economica.

Figura 5: piccole banche producono un grande impatto

*Le grandi banche sono costituite dalle prime 25 banche commerciali statunitensi classificate per dimensione degli asset nazionali, tutti superiori a 150 miliardi di dollari. Le piccole banche sono costituite da tutte le altre banche commerciali statunitensi con asset inferiori a 150 miliardi di dollari. Dati al 24 marzo 2023, ultimi disponibili al 31 marzo 2023.
Fonte: Federal Reserve, FactSet.

La differenza di accesso al capitale tra grandi e piccole imprese evidenzia anche come la politica monetaria agisca con ritardi variabili. Le grandi imprese possono emettere debito sui mercati dei capitali, spesso a tassi fissi. Poiché i mercati sono orientati al futuro, l'impatto dei rialzi (o dei tagli) dei tassi può essere avvertito parzialmente anche prima del loro verificarsi. Le piccole imprese, invece, contraggono principalmente prestiti con le banche a tassi a breve termine variabili. Di conseguenza, le piccole imprese avvertono l'impatto della politica monetaria solo dopo il rialzo dei tassi e l'adeguamento dei loro costi di finanziamento. In altre parole, i cambiamenti di politica monetaria tendono ad avere un impatto sulle grandi imprese prima che sulle piccole.

Figura 6: gli aumenti mettono sotto pressione le piccole imprese

*Tasso di interesse effettivo pagato dai debitori su prestiti a breve termine, in base al sondaggio NFIB. Dati al 28 febbraio 2023, ultimi dati disponibili al 31 marzo 2023. Fonte: NFIB, Federal Reserve, FactSet.

Questa dinamica è importante perché le piccole imprese si trovano ad affrontare molteplici fattori avversi alla redditività. Oltre all'aumento dei tassi e all'inasprimento degli standard di prestito, è probabile che la diminuzione del pricing power e la vischiosità dei costi erodano ulteriormente i margini. I dati dell'indagine della National Federation of Indipendent Business (NFIB) su Small Business Economic Trends mostrano una rapida diminuzione della percentuale di piccole imprese che prevedono di aumentare i prezzi nei prossimi tre mesi, mentre la percentuale che prevede di aumentare i salari si mantiene stabile. Si tratta di una netta inversione di tendenza rispetto al periodo successivo alla pandemia, quando una quota maggiore di piccole imprese aumentava i prezzi piuttosto che i salari, contribuendo a incrementare i margini. Riteniamo che nel corso dell’anno l'inversione di questa dinamica eroderà la redditività e amplierà i licenziamenti nelle piccole imprese e nei settori al di fuori di quello informatico.

Figura 7: un futuro di sofferenza per le piccole imprese

Dati al 28 febbraio 2023, ultimi dati disponibili al 31 marzo 2023. Fonte: FactSet, NFIB. Non vi è alcuna garanzia che un’eventuale stima, proiezione o previsione si realizzi.

Un ulteriore elemento che si può ricavare dai dati dell’indagine NFIB Small Business Economic Trends riguarda i salari e, di conseguenza, l'inflazione. Sebbene i salari abbiano subito un modesto raffreddamento, la percentuale di piccole imprese che prevedono di aumentare i compensi rimane elevata. Questo dato è fortemente connesso agli aumenti salariali effettivi più in generale, suggerendo che i salari potrebbero attestarsi su livelli elevati nel 2023.

Figura 8: i salari potrebbero continuare a essere vischiosi

Dati al 28 febbraio 2023, ultimi dati disponibili al 31 marzo 2023. Fonti: BLS, St. Louis Fed, NFIB, FactSet. Non vi è alcuna garanzia che un’eventuale stima, proiezione o previsione si realizzi.

Gli aumenti salariali sono importanti per gli investitori azionari perché influenzeranno il percorso della Fed nei prossimi mesi. L'inflazione rimane la preoccupazione principale della Fed, come dimostra la sua decisione di marzo di procedere con un aumento dei tassi di 25 punti base (pb) prima di poter stabilire se il panico nel settore bancario si fosse placato e la minaccia alla stabilità finanziaria fosse diminuita. Sebbene la storia suggerisca che la Fed avrebbe reagito tagliando i tassi, la sua funzione di reazione è cambiata in risposta a un'inflazione generazionalmente elevata.

Non crediamo che il mercato apprezzi appieno questo cambiamento, dato che circa 50 punti base di tagli dei tassi sono scontati nei futures sui fed fund entro la fine dell'anno, e ciò ricorda il copione seguito dai cicli passati. Al contrario, il “dot plot” della Fed e le dichiarazioni pubbliche suggeriscono una pausa prolungata dopo un ulteriore rialzo. Mentre gli ultimi due o tre trimestri hanno favorito la Fed quando le sue opinioni divergevano dal mercato, le ultime settimane hanno dimostrato che tutto è possibile.

A nostro avviso, le azioni della Fed negli ultimi mesi non fanno che rafforzare il cambiamento della sua funzione di reazione. In genere, la Fed avvia un primo taglio dei tassi in previsione di future perdite di posti di lavoro, con il ciclo di licenziamenti che si intensifica e che storicamente ha visto un calo medio di 796.000 posti di lavoro nell'anno successivo al primo taglio. Dal “dot plot” della Fed risulta invece che il tasso di disoccupazione aumenterà dello 0,9% a fine anno, il che equivale a 1,5 milioni di posti di lavoro persi in meno di 12 mesi.

Da tempo riteniamo che questo cambiamento nella funzione di reazione derivi dalla dura lezione appresa nel 1967, quando la Fed tagliò prematuramente i tassi a fronte di un'economia in rallentamento e, soprattutto, di un mercato del lavoro rigido. Sebbene questa situazione presenti una certa somiglianza con il contesto attuale, la cosa più importante è ciò che è successo dopo. I prematuri tagli dei tassi hanno spianato la strada a un’inflazione strutturalmente più elevata nel decennio successivo, un esito che la Fed vorrebbe evitare.

Figura 9: la Fed ha poca tolleranza nei confronti della perdita di posti di lavoro

Dati al 31 marzo 2023. Fonte: FactSet, BLS. Non vi è alcuna garanzia che un’eventuale stima, proiezione o previsione si realizzi.

Se quest'anno si eviterà una recessione, prevediamo che gli effetti di questo cambiamento si concretizzeranno in una risposta di politica monetaria più tardiva e attenuata. Anche il sostegno fiscale sarà probabilmente più mirato dopo essere stato incolpato della crescita dell'inflazione. Una risposta politica limitata e più lenta è un fattore chiave della nostra opinione secondo cui una potenziale recessione sarà più lunga e “moderata” rispetto alle aspettative di consenso che prevedono una recessione più breve e contenuta.

Sebbene la crescita del sistema bancario appaia idiosincratica, una delle cause principali è stata l'aggressivo ciclo di rialzi della Fed. Questo potrebbe rappresentare il primo di numerosi indicatori di ritardo che si manifesteranno, consolidando la nostra opinione, che portiamo avanti da tre trimestri, secondo cui la recessione è all’orizzonte. Sebbene i tempi della recessione siano sconosciuti, non saremmo sorpresi se si verificasse un rally del mercato a breve termine.

Figura 10: l’ultimo hurrah

Fonte: FactSet, Federal Reserve, S&P. L’Indice S&P 500 ha registrato un rally medio del 5% (e, in quattro occasioni, più del doppio) nel periodo tra l'ultimo rialzo dei tassi e il primo taglio. Sebbene questo primo taglio possa richiedere più tempo per concretizzarsi, alcuni investitori ritengono che il rialzo finale sia già avvenuto, il che significa che potremmo già trovarci in un periodo favorevole per le azioni. Essendo probabile che l'elevata volatilità continui, riteniamo che gli investitori di lungo termine possano sfruttare al meglio la forza recente e attuale per passare a un posizionamento più difensivo e di qualità superiore.



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