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Per buona parte di questo ciclo di stretta monetaria, la Federal Reserve (Fed) ha condotto un braccio di ferro con i mercati finanziari, cercando di convincere gli investitori della necessità di un periodo di tassi d’interesse più elevati per riportare durevolmente l’inflazione sotto controllo. Gli investitori, viceversa, hanno sostenuto la necessità di scelte opposte, arrivando addirittura a “contrastare” la Fed.

Negli ultimi tre mesi, apparentemente, è prevalsa la posizione della Fed e i rendimenti obbligazionari hanno quasi raggiunto il 5%. La Fed, tuttavia, potrebbe aver sovrastimato il reale allineamento dei mercati finanziari con il suo punto di vista. In occasione della riunione di novembre del Federal Open Market Committee (FOMC), il presidente della Fed Jerome Powell ha leggermente smussato la sua politica monetaria, attraverso la prevista decisione di mantenere i tassi invariati, ma anche suggerendo che il ritmo della crescita potrebbe già essere sceso sotto il suo livello potenziale (temporaneamente elevato), oltre che ridimensionando l’importanza dei grafici della Fed (che indicano un ulteriore rialzo). Una serie di dati economici più deboli del previsto ha amplificato l’impatto sui prezzi di mercato.

Così, quando Powell ha dichiarato che gli sforzi della Fed per contrastare l’inflazione della Fed stavano ricevendo un importante sostegno dalle condizioni finanziarie più restrittive, gli investitori si sono prontamente mossi nella direzione opposta, scommettendo su una diminuzione dei rendimenti obbligazionari e su un aumento della valorizzazione dei titoli azionari.

Powell ha detto che la Fed deve ancora chiarire se ritiene le condizioni monetarie sufficientemente rigide: solo dopo che avrà trovato la risposta potrà riflettere su quanto a lungo dovrebbe mantenere tale stretta. La reazione degli investitori, invece, non si è fatta attendere: la politica monetaria è già molto restrittiva ed entro la metà del prossimo anno dovrebbe iniziare ad allentare speditamente la presa, arrivando a far ridiscendere il tasso dei Fed fund in prossimità del 4% entro la fine del 2024.1

Soddisfatto dei progressi compiuti, Powell si è limitato a esprimere qualche parola di incoraggiamento agli investitori, i quali hanno invece reagito con un’esplosione di euforia che ritengo eccessiva.

La Fed è ancora alle prese con tre difficili questioni:

  • Quanto è persistente l’inflazione?
  • Quanto rapidamente l’economia tenderà a perdere slancio?
  • A che livello va collocato il saggio neutro di politica monetaria?

Rispetto a un anno fa, l’inflazione è ora piuttosto vicina all’obiettivo, ma ancora non quanto basta. Gli analisti utilizzano diversi parametri per misurare l’inflazione: indice dei prezzi al consumo (IPC), spesa per consumi personali (PCE), headline, core, variazione su 12 mesi, variazione mensile annualizzata. Alcuni sembrano molto rassicuranti, altri decisamente meno.

Preferisco utilizzare l’IPC core e rilevare la variazione mese su mese, che ci fornisce il ritmo attuale di crescita dei prezzi senza il condizionamento di effetti base pregressi. Questo tasso, annualizzato, è ancora molto altalenante. A luglio era fermo all’1,9%; a settembre si attestava al 3,9%. La media a tre mesi è ancora superiore al 3%; la media a sei mesi è vicina al 4%.2 Altre misure come l’IPC globale e l’IPC supercore - che esclude non solo i prodotti alimentari e l’energia, ma anche i costi abitativi ed è stato spesso evidenziato da Powell - corrono ancora più in alto, con una media a tre mesi vicina al 5%, come mostra il grafico sottostante.

Figura 1: L’IPC a breve termine ritrova slancio

Inflazione dell’Indice dei prezzi al consumo statunitense
Rendimento annuo 2020–2023

Fonte: Franklin Templeton Fixed Income Research, BLS, BEA, Macrobond. Al 6 novembre 2023.

L’inflazione non è ancora sotto controllo ed è troppo volatile per essere ben tollerata, soprattutto considerando il rischio di un nuovo shock energetico sempre all’ordine del giorno. Inoltre, una serie di fattori strutturali, dallo sviluppo demografico alla transizione verde, suggeriscono che le pressioni inflazionistiche a lungo termine saranno più robuste.

L’economia statunitense ha dato prova di grande resistenza, sfiorando un ritmo annualizzato di espansione del 5% nel terzo trimestre. Come ho sostenuto in precedenti numeri di “On My Mind”, questo dato non dovrebbe sorprendere più di tanto; le famiglie disponevano di un buon surplus di risparmi e la politica fiscale rimane molto accomodante. Tuttavia, i costi di finanziamento per le famiglie e le imprese sono aumentati in modo generalizzato e, nonostante i bilanci sani, la stretta monetaria comincia a farsi sentire. Gli ultimi dati confermano una certa decelerazione della crescita economica e della creazione di posti di lavoro. La politica monetaria potrebbe essere sufficientemente restrittiva da riuscire a raffreddare l’economia a un livello desiderabile, inferiore al suo potenziale. Forse.

Per quanto riguarda il saggio neutro di politica monetaria, a mio avviso la Fed esprime una posizione troppo accomodante; sembra ancora pensare che, una volta superate le difficoltà, i tassi a breve termine potranno ridiscendere a livelli bassi, anche se meno bassi rispetto a quelli del periodo post-crisi finanziaria globale. Ritengo che il saggio neutro di politica monetaria si attesterà intorno al 4% o a un livello superiore, anziché al 2,5% come ancora prevede la Fed.

Alla luce di tale quadro complessivo, per le prossime decisioni di politica monetaria la Fed ritiene probabilmente di vivere una fase di aggiustamenti minori, che giustifica un approccio prudente: osservare i dati e decidere riunione per riunione il passo successivo. Non escluderei la necessità di un nuovo rialzo dei tassi, ma le pressioni inflazionistiche rimangono tenaci e vi sono ancora ampi margini per sorprese sgradite. Inoltre, sono fermamente convinto che i tassi di riferimento dovranno rimanere fermi, o quasi fermi, ai livelli attuali per buona parte del 2024, al fine di garantire il calo sostenuto dell’inflazione verso l’obiettivo del 2% che la Fed sta perseguendo.

Figura 2: Pricing di mercato del tasso dei Fed fund Tasso dei Fed Fund 2020-2024 (previsione)

Dopo il FOMC di novembre e i dati sui salari non agricoli di ottobre, si rafforzano le aspettative di un taglio ai tassi.

Fonti: Franklin Templeton Fixed Income Research, Federal Reserve Bank of New York, CME Group, Macrobond al 6 novembre 2023. Non vi è alcuna garanzia che un’eventuale stima, proiezione o previsione si realizzi.

Tuttavia, i toni moderatamente ottimistici espressi da Powell in occasione della conferenza stampa di novembre sono bastati a orientare i mercati in una direzione del tutto opposta: oltre a escludere qualsiasi ulteriore rialzo dei tassi, ora l’aspettativa è di un taglio dei tassi di circa un punto percentuale, a partire già dalla prima della metà dell’anno prossimo. È una previsione che ritengo irragionevolmente ambiziosa. Questi sviluppi, di riflesso, complicheranno il lavoro della Fed e, a mio avviso, porranno le basi per una maggiore volatilità e un probabile rimbalzo dei rendimenti nei prossimi mesi.



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